Mi familia
Po, il panda orfano, ingordo di dim sum e di affetto, insicuro e pasticcione, ha avuto la sua evoluzione, nel corso dei tre film che lo hanno visto protagonista. Da umile sguattero nel ristorante di famiglia, a Guerriero Dragone alla pari con gli altri Magnifici Cinque, discepolo prediletto del vecchissimo Maestro tartaruga Oogway, tollerato con disincanto dal molto cool Maestro Shifu.
La lotta per libertà non è un pranzo di gala
Negli anni seguenti la Seconda Guerra Mondiale, negli Stati Uniti era montato un clima di isterismo di massa nei confronti del “pericolo rosso”, delle influenze comuniste nella società, ben orchestrato da chi ha sempre interesse a mantenere elevato il livello di intolleranza della pubblica opinione, a indirizzarla verso un “nemico” preciso. Grandi eventi storici erano complici, a parte l’atteggiamento stesso dell’Unione Sovietica pre-Kennedy: la costruzione del Muro di Berlino; la sperimentazione atomica dell’Urss; la rivoluzione cinese maoista; la guerra in Corea; i numerosi casi di spionaggio che affollavano le cronache (clima appena narrata da Spielberg nel suo Il ponte delle spie).
I mostri dell'infanzia non si scordano mai
Dal lontano 1954 Godzilla, uno dei mostri kaijū più famosi, è tornato ancora una volta sui grandissimi schermi e adesso su quelli casalinghi, grazie a un'edizione su Blu-ray Warner. Ottima la versione in 2D, con un'immagine sempre di buon dettaglio, che diventa davvero notevole nelle sequenze più luminose ma regge bene anche nei momenti poco luminosi o "polverosi".
Per tutti i fan di Breaking Bad, arriva ora online il trailer di Cold Comes the Night, thriller in cui Bryan Cranston interpreta un cattivissimo criminale russo. La regia è di Tze Chun (Children of Invention).
L'immaginazione vince il potere
Arricchito dal valore dei tre Oscar appena ricevuti arriva su Blu-ray Warner Argo, l'interessante film diretto e interpretato dall'ormai definitivamente redivivo Ben Affleck. L'immagine è sempre di ottimo dettaglio, nell'assoluto rispetto delle scelte della fotografia originale, opera di Rodrigo Prieto (21 grammi, Brokeback Mountain, Biutiful), dalle tinte sempre naturali e volutamente vintage (il film è ambientato negli anni '70), con qualche traccia di grana ad ammorbidire il quadro. L'audio originale è ottimo, un coinvolgente e brillante DTS HD 5.1 dall'efficace spazialità, di buona potenza nella resa degli effetti sonori nelle scene più movimentate e delle belle musiche di Alexandre Desplat, sempre nitidissimi i dialoghi.
There's no place like home (forse)
Imperdibile edizione casalinga per Madagascar 3. Nel Blu-ray Universal l'immagine è di spettacolare nitidezza, tale da conferire alle scene una sensazione di tridimensionalità anche nell'edizione "piatta" di cui parliamo. Resa brillantissima anche della coloratissima fotografia originale, sempre luminosa e dettagliata. L'audio originale in Dolby True HD 7.1 è spettacolare pure lui, come potenza e dettaglio, nella resa coinvolgente di effetti sonori e colonna sonora, che, oltre alle musiche di Hans Zimmer, impiega canzoni come la mitica Gonna Make You Sweat (Everybody Dance Now) e la travolgente Fireworks di Katy Perry, oltre a un'indimenticabile versione della mitica Non Je Ne Regrette Rien di Edith Piaf, eseguita spiritosamente da Frances McDormand.
L'immaginazione vince il potere
Spesso realtà e finzione si mescolano e l'una sembra imitare l'altra. Un film, che è pura finzione della realtà, può essere anche la finzione di se stesso, ugualmente così forte da riuscire a salvare delle reali vite umane. Questo è successo a Tehran nel 1979 a sei addetti diplomatici americani, rifugiati clandestinamente preso l'Ambasciata canadese, mentre 52 loro colleghi venivano imprigionati dai seguaci di Komeini, che li avrebbe rilasciati solo in cambio di Reza Palhavi, l'odiato Scià in precedenza al potere, fuggito negli States (eventi che probabilmente sono costati la rielezione a Jimmy Carter). Mentre l'amministrazione tenta invano di gestire il gravissimo fatto (resteranno prigionieri per 444 giorni), per mettere in atto "l'estrazione" dei sei isolati viene chiamato l'agente della CIA Mendez, che partorisce la "best bad idea" vincente: mettere in piedi l'organizzazione di un film canadese, da girare in Iran, fingendo che i sei americani siano membri della crew.
Nel 1912 Edgar Rice Burroughs scriveva La principessa di Marte, noto anche come Sotto le lune di Marte, il primo di un ciclo di undici romanzi. Burroughs è stato un grande rappresentante di quel Planetary Romance che ha riscosso tanto successo fra la fine dell’800 e gli inizi del ‘900, influenzando un’infinità di autori successivi in vari campi (il film Il pianeta delle Scimmie, Dune, e anche Flash Gordon, per arrivare ad Avatar sono prodotti riconducibili a quel genere). Non dubitiamo che anche George Lucas ne abbia tratto ispirazione. Il romanzo è immaginoso, epico e avventuroso, nella descrizione di mondi e personaggi per quell’epoca ancora più fantasiosi e irreali di oggi, nella narrazione di vicende complesse in mondi lontanissimi, con umani ed extraterrestri, popoli in lotta, despoti e “guardiani”, amori, tradimenti, eroismi, scenari spettacolari e mostri incredibili. Sulla pagina scritta l’effetto era stato travolgente, segnando l’avvio della carriera di Burroughs, autore in seguito di Tarzan. Vederlo trasportato sullo schermo oggi, pure con i prodigi resi possibili dalla computer grafica, lascia perplessi perché troppe sono le assonanze con altre storie già viste, troppi i rimandi ad altre saghe, come in un mix di Star Wars, Stargate, Star Trek, con un personaggio che rimanda a Indiana Jones sulla Terra e ad uno dei tanti supereroi nello spazio, con scenari stile Thor e un inizio con arrembaggi da Pirati dei Caraibi e panorami western da far temere un altro Cowboys and Aliens.
Il festival cinematografico veneziano ci consegna l'ultima fatica del giovane talentuoso regista danese come fosse un regalo prezioso, tenuto nascosto per trent'anni a maturare, come il buon vino. Una pellicola che ha tutto il sapore 80's, a partire dal font usato per i titoli, per confermarsi nella scelta delle note di sottofondo, che rimbalzano sulle luci dei semafori di una Los Angeles ancora una volta scenario prediletto nel raccontare la solitudine. Questa alienazione riecheggia costante nell'intera cinematografia di Refn, cosí come di Lynch e di Fuqua prima di lui. Un forte senso di rarefazione, fin dalla prima splendida sequenza di immagini, intensificata notevolmente dalla scelta della luce che veste i personaggi di uno stile quasi caravaggesco.