Independence Day: Rigenerazione: Recensione

Di   |   07 Settembre 2016
Independence Day: Rigenerazione: Recensione

 

Chi ci ammazza….

L’America è un paese che si ama o si odia (o che si ama e si odia), perché contiene tutto e il contrario di tutto. Un marketing incredibilmente abile, prima ancora che venisse inventato questo termine, ha confezionato e venduto, e con successo, un’immagine (il Sogno) che è diventata mito, che poi ha barcollato, che oggi è crollato, che resta però in fondo ai cuori, specie di chi con la cultura americana e con l’intrattenimento americano è cresciuto.


E anche perché era così bello che abbandonarlo fa male. Comprendiamo quindi come, nel nome di questa mitizzazione, nei film siano sempre gli Stati Uniti, nazione nella realtà mai violata dai piedi di soldati stranieri, a essere minacciati e invasi e poi faticosamente difesi e liberati da ogni tipo di malefico invasore, umano e non. Siamo un pianeta così bello e vasto, alieni e mostri intergalattici potrebbero atterrare in Cina o in Europa, E invece no, quasi sempre lì finiscono, proprio dove li attende, incauti tapini, la resistenza più feroce. Perché il popolo americano si secca molto se qualcuno vuole portargli via quella libertà di cui ogni giorno si lamenta, ma che considera imprescindibile. Scherziamo, ovviamente, per iniziare a parlare di Independence Day: Rigenerazione (Resurgence), sequel molto ritardato del precedente film del 1996, nuovamente diretto da Roland Emmerich che nel frattempo ha trovato modo di distruggere la terra svariate altre volte. Il vecchio film, su cui la critica “seria” si è sempre accanita, con gli anni è diventato un piccolo cult simpaticamente trash, con qualche momento di discreto humor, e un cast che nobilitava una storiella facile facile. Questa volta siamo con precisione vent’anni dopo, nel 2016, ma in una Terra che è divenuta per certi versi un pianeta fantascientifico, ricostruita e progredita grazie alle tecnologie aliene apprese dai vecchi aggressori. Digerita questa premessa, ritroviamo l’invecchiato e ormai ex Presidente Whitmore, segnato nel corpo oltre che nello spirito dalla durissima esperienza dell’invasione di venti anni fa, in preda a terribili incubi ricorrenti. E non è il solo. Nel frattempo Dylan Hiller (l’inespressivo Jessie T. Usher, nel film figlio di Will Smith, che non ha però preso parte al sequel) ha seguito con successo le orme paterne ed è pilota di caccia, così come l’amico Jake (Liam Hemsworth) che però, più irruento di carattere, si mette sempre nei guai. Di lui è innamorata Patricia Whitmore, figlia dell’ex Presidente, che lavora come portavoce per la Presidentessa degli Stati Uniti (donna ovviamente, nei film agli americani l’idea piace, sembra più che nella realtà). Tutti gli alieni imprigionati in stato catatonico nell’Area 51 (e dove sennò) cominciano ad agitarsi anche loro, mentre nell’astronave precipitata in Africa e rimasta come monumentale monito, le luci si riaccendono misteriosamente. E altri segnali inquietanti arrivano dallo spazio profondo. Mentre sulla Terra si tiene una mega celebrazione per il ventennale della vittoria, con tutti gli ormai anziani protagonisti sopravvissuti riuniti a Washington, dallo spazio arriva qualcosa di ancora più grande e cattivo della volta precedente. Per fortuna c’è sempre il geniale Dottor Levinson (Jeff Goldblum, il conto in banca ringrazia), con al seguito (misteri del casting) un’improbabile Charlotte Gainsbourg, nelle vesti di esploratrice/archeologa/psichiatra (personaggio di rara inutilità). Per doppia fortuna si risveglia anche il simpatico “scienziato pazzo” del film precedente, il mitico Dottor Okun, che era in coma pure lui da 7300 giorni. Per tripla fortuna, dopo l’annientamento della “classe dirigente” dovuto al primo “incontro ravvicinato”, a fare il Presidente viene precettato un Generale brava persona (William Fichtner). E poi, sempre per fortuna e perché ce lo meritiamo, tutti ma proprio tutti i personaggi del film sono eroici e altruisti e patriottici e tutti sono disposti a rischiare la vita per la salvezza del Pianeta. E della Patria. Questo Independence 2 è un film che non ha nulla del candore del primo film, non è nemmeno la solita divertente baracconata alla Armageddon (film che a questo punto si dovrà smettere di insultare, qui non c’è nemmeno una canzone di Steven Tyler da salvare). Troppa gente ha messo mano alla sceneggiatura per partorire una storia piccina e mai appassionante. Spira un’aria antiquata, come fossimo in un film di fantascienza di tanti anni fa (sarà voluto, sarà non voluto, chissà), un po’ Stargate, un po’ Ufo di Straker ma ovviamente enhanced. Ci sono tante battaglie fra caccia e astronavi ed esplosioni e alieni “insettosi” che sembrano usciti da un film anni ‘50 (di alieni questa volta se ne vedono tantissimi). Di incongruenze e assurdità anche ce ne sono tante: perché la gigantesca, perfida Regina aliena, specie di cavallettona gigante con tentacoli svolazzanti, avendo da distruggere il pianeta, rimasta scoperta a difendersi da un attacco aereo, si incaponisce a inseguire un bus pieno di ragazzini, guidato dal prode Levinson? Ce l’ha personalmente con lui? Come fa l’ex Presidente Whitmore, mentre mancano pochi minuti alla perforazione del nucleo magnetico della Terra, a trovare pure il tempo per togliersi il barbone da vecchio, prima di entrare nuovamente in azione? Un burocrate di Washington convertito all’azione più sanguinaria dovrebbe assicurare i siparietti comici, gettando la briefcase e impugnando un mitra. Mentre gli eroici piloti di caccia (non c’è niente di eroico quanto un Top Gun) si scambiano battutine in ogni più improbabile circostanza (e Liam fa pipì in front of the aliens). Dove possibile ricompaiono gli attori del primo film (lo scienziato Brent Spiner, alcuni “governativi” e militari, la compagna di Smith nel film, Viveca A. Fox), doverosamente “cresciuti”, come l’eternamente rompiscatole papà di Levinson (il veterano Judd Hirsch), padre ebraico oppressivo quanto la Grande Madre Ebraica dei film di Woody Allen. Il messaggio alla solidarietà fra “buoni” contro “cattivi” del film è risibile, anche perché tutto il mondo o quasi si limita a stare attaccato alla radio aspettando di sentire che la guerra è vinta, e ancora una volta grazie agli eroici americani che sono sempre loro a togliere le castagne dal fuoco. E che castagne, è sottointeso. Stretta fra gli indomiti americani dentro e fuori casa come potrà farcela la malvagia regina aliena? Giù le mani dal pianeta, Bitch! Si apre pure a un terzo episodio, dove la meta è andare a casa degli alieni cattivi a “spaccare loro il culo”. Non siamo istericamente e programmaticamente ostili, non vogliamo vedere messaggi patriottici e/o di propaganda anche nei popcorn movie, ma quando è troppo, è troppo, specie se null’altro salva il prodotto.

 

Giudizio

  • Era meglio che no
  • 4/10