Lasciarsi per ripigliarsi
E’ tutta questione di prospettive, che ci si trovi sdraiati sul lettino di uno psicanalista o sul tappetino di una palestra, la visione della vita è ben diversa. Elia è un ricco psicanalista ebreo, avaro negli affetti come nelle questioni finanziarie, afflitto da abbondante dose di spleen, che passa la vita accoccolato sulla sua poltrona abbuffandosi di dolci mentre finge di ascoltare i suoi pazienti, che è incapace di curare.
Confessioni di menti pericolose
Un monaco italiano, Roberto Salus, viene invitato a partecipare ad un summit riservatissimo di potenti della finanza mondiale, con l’inclusione di un paio di personaggi extra, un musicista pop (un po’ Eric Clapton, sembra, non è chiaro) e un’affascinante scrittrice di libri stile Rowling. Anche il monaco ha scritto dei libri ma è un personaggio che rifugge ogni clamore mondano e ogni classificazione. Nelle ovattate stanze dell’hotel di lusso che li ospita, in riva al mare ad Heiligendamm in Germania, si intrecciano alcuni nuovi rapporti, nella curiosità reciproca.
Il nostro viaggio è immaginato
Jep Gambardella è un ricco sfaccendato, emigrato in gioventù a Roma da un imprecisato Sud. Aveva ambizioni da scrittore ma un solo libro ha in effetti scritto, sulla cui gloria ancora campa, in quanto a soldi e reputazione. Con la scusa di essere un cronista mondano, conduce una vita da festaiolo impenitente, ogni notte un party diverso, fra faccendieri, bottegai, pseudo-intellettuali e discutibili artisti, tutti aspiranti qualcos'altro. Permeato da uno spleen degno di un Petronio alla corte di Nerone, si aggira nella sua casa con terrazza da colpo al cuore affacciata sul Colosseo, ormai costretto a fare mostra di divertirsi di qualcosa che col tempo gli è venuto a noia, mentre dissipa un talento che chissà se c'è mai stato.
Fuga dal potere
A guardare le vite di certi personaggi, sembra che la politica sia una cosa da pazzi. Quindi forse solo un matto vero potrebbe essere il politico perfetto. L'Onorevole Enrico Oliveri è il presidente del più grande partito d'opposizione, dal quale tutti si attendono il rilancio del paese (letto in generale come di sinistra, ma sull'appartenenza politica l'autore resta accuratamente vago ed equidistante). L'uomo, a picco nei sondaggi, è esaurito e demotivato per una sua profonda crisi esistenziale. All'improvviso si dilegua, lasciando lo sgomento assistente Andrea (Valerio Mastandrea) da solo a fronteggiare il partito, la stampa, l'opinione pubblica. Mentre Oliveri se ne torna in Francia dai suoi antichi amori, la sua ex Danielle e l'ambiente del cinema, Andrea, prima che la notizia si diffonda, si inventa un azzardato rimedio: convince il fratello gemello di Oliveri, Giovanni, a sostituire lo scomparso nel suo ruolo pubblico. Tutto bene se non fosse che Giovanni è un "matto" come si diceva un tempo, oggi definito come "afflitto da disturbo bipolare", una vita dentro e fuori dalle cliniche psichiatriche.
Riso amaro
Il sonno della ragione genera mostri. E anche quello della coscienza, della conoscenza. E di mostri parla il nuovo film di Daniele Ciprì, tratto dal romanzo di Roberto Alajmo. La storia viene raccontata da uno sconosciuto narratore (l'Alfredo Castro di Tony Manero e Post Mortem), la cui identità sarà rivelata solo alla fine, un misero fallito che agli esauriti clienti in coda in un ufficio postale snocciola cupi aneddoti, scontate leggende metropolitane e truci fatti di cronaca. In una periferia palermitana di satellitare squallore, "c'era una volta" la miserabile famiglia Ciraulo, che non riesce a campare nemmeno di espedienti e trascina una vita di ristrettezze e debiti. Ma un bel giorno viene "baciata dalla fortuna". Uno dei figli resta ucciso per caso in una sparatoria e alla famiglia spetta il risarcimento dello Stato per le vittime della Mafia. Quando finalmente i soldi arrivano, ben 230milioni e passa, i Ciraulo sono già più che indebitati con uno strozzino e con la rimanenza della somma il capo famiglia follemente acquista una Mercedes, sogno che si concretizza, bandiera del riscatto, smaccata rivalsa nei confronti del destino fin lì crudele.
Spesso agli Oscar anche per i film stranieri (la maggior parte delle volte snobbati dalle nominations principali) c'è speranza di ricevere qualche candidatura anche in altre categorie.
Non c'è stato il classico duello che ha contraddistinto le altre premiazioni nazionali. Questa volta Gomorra aveva già vinto il Nastro d'Argento dell'Anno, quindi il premio come miglior film è potuto tranquillamente andare, come prevedibile, a Il Divo di Paolo Sorrentino.
A quanto pare, non è solo sciovinismo quello che fa gridare al capolavoro la critica del Bel Paese ogni volta che esce in sala un nuovo film di Paolo Sorrentino.