E’ stato il figlio: Recensione

Di   |   14 Settembre 2012
E’ stato il figlio: Recensione

Riso amaro
Il sonno della ragione genera mostri. E anche quello della coscienza, della conoscenza. E di mostri parla il nuovo film di Daniele Ciprì, tratto dal romanzo di Roberto Alajmo. La storia viene raccontata da uno sconosciuto narratore (l'Alfredo Castro di Tony Manero e Post Mortem), la cui identità sarà rivelata solo alla fine, un misero fallito che agli esauriti clienti in coda in un ufficio postale snocciola cupi aneddoti, scontate leggende metropolitane e truci fatti di cronaca. In una periferia palermitana di satellitare squallore, "c'era una volta" la miserabile famiglia Ciraulo, che non riesce a campare nemmeno di espedienti e trascina una vita di ristrettezze e debiti. Ma un bel giorno viene "baciata dalla fortuna". Uno dei figli resta ucciso per caso in una sparatoria e alla famiglia spetta il risarcimento dello Stato per le vittime della Mafia. Quando finalmente i soldi arrivano, ben 230milioni e passa, i Ciraulo sono già più che indebitati con uno strozzino e con la rimanenza della somma il capo famiglia follemente acquista una Mercedes, sogno che si concretizza, bandiera del riscatto, smaccata rivalsa nei confronti del destino fin lì crudele.


Ma la nera macchinona porterà solo sfortuna a un nucleo famigliare stravolto, privo di ogni riferimento sentimentale, culturale, sociale. Guai infatti a sfidare gli dei, che sghignazzando sadicamente si riservano il diritto di muovere i propri sudditi come tragiche marionette, agitate scompostamente sul palcoscenico delle loro desolate vite. Ciprì smussa i suoi eccessi da Cinico Tv per realizzare un film per platee più ampie, ma E' stato il figlio resta un prodotto estremo, costellato delle facce estreme care al regista, facce vere ma accuratamente scelte in un bestiario che i mezzi di comunicazione oggi cercano di far sparire ignorandolo, con uno schiaffo ai film "carini", alle faccette televisive di bei ragazzi depilati e belle ragazze procaci tutti uguali. In mezzo a queste facce orride si inseriscono gli ottimi interpreti, resi lividi e sgradevoli dalla fotografia dello stesso regista: un Toni Servillo istrionico al massimo livello, eccezionale, sguaiato, aggressivo eppure patetico; Giselda Volodi, la moglie consunta dalla lotta per mandare avanti la baracca; Aurora Quattrocchi, la nonna, figura forte della famiglia, e Fabrizio Falco, che è Tancredi, il figlio attonito, annichilito dalla violenza bruta di una famiglia di abbrutiti. Se un giorno vorremo ricordare le miserie di un paese in cui una minoranza si illude di essere evoluta, non potremo pensare che ai Mostri di Risi ai Brutti sporchi e cattivi di Scola e adesso anche alla famiglia degenere messa in scena da Ciprì, con il suo crudele senso dell'umorismo, col suo gusto barocco nella messa in scena di fisionomie mostruose. Crediamo di ridere di casi limite, deformi nel corpo e nell'anima, ormai estinti da anni di benessere? Ma quando mai...un po' ripuliti e riverniciati siamo sempre lì, se non hai non sei e per avere tutto è lecito.

Giudizio

  • Estremo
  • 7/10