E così Po era stato adottato. Non che ne dubitassimo dato che nel precedente film il suo papà risultava essere un’oca…
Dopo il deludente seguito e i due terribili “versus” fare peggio sarebbe stato veramente arduo. Fu con quest’idea ben scolpita nella mente che mi apprestai a leggere la presentazione scritta dal buon Rodriguez su Predators alcuni mesi fa e, a dirla tutta, mi è sembrato il più grande balzo in avanti fatto sul franchise Predator da secoli a questa parte. Finalmente parliamo di un vero sequel che abbandona i passi falsi fatti dal “Part2” o dai pessimi “Versus” mantenendo un approccio molto più duro e horror al tema.
Se dovessimo prendere in considerazione gli ultimi 10 anni di cinema horror (periodo che corrisponde alla “rinascita” del genere a livello mondiale) e farne una classifica di merito, uno dei primi tre posti andrebbe, senza ombra di dubbio, a The Descent, claustrofobico incubo sotterraneo messo in scena dall’inglese Neil Marshall nel 2005. Novanta minuti tesi fino allo spasimo in cui un cast tutto al femminile deve combattere per la sopravvivenza contro strane creature albine che vivono nei cunicoli dimenticati di una grotta nei monti Appalachi. Una delle caratteristiche vincenti del film risiede, tra le altre cose, in un finale inquietante e puramente carpenteriano che vede l’unica sopravvissuta sognare di trovare una via d’uscita per poi risvegliarsi, senza speranza, nella sua “prigione di roccia”. Una conclusione troppo deprimente per il mercato americano dove il film è uscito senza quest’ultima sequenza garantendo (per scopi commerciali), in pratica, la sopravvivenza della protagonista.
Da appassionato di horror non ho mai digerito il fatto che un evento tanto simbolico e ricco di significati per la cultura americana (e quindi di potenzialità per il genere) come il Prom Night (il ballo di fine anno) sia stato sfruttato male e senza creatività dal noiosissimo slasher di Paul Lynch Prom Night (1980, da noi noto con il titolo di Non entrate in quella casa) e dai suoi impresentabili sequel. Ora, Ti West colma questa lacuna, trasformando il suo sequel di Cabin Fever in un vero horror sul ballo di fine anno dove sangue, fluidi e sesso (inesorabilmente connessi l’uno con l’altro) recitano la parte del leone.
Nel 2004, il pubblico del Sundance Film Festival assisteva alla drammatica avventura di una coppia di subacquei che, riemergendo in superficie, scoprivano di esseri stati abbandonati in mezzo all'oceano dalla barca che li aveva accompagnati al largo. Girato con un budget limitato e facendo leva sullo stile “documentaristico” della narrazione, Open Water si impose come una delle sorprese della stagione cinematografica 2004/2005. Sei anni dopo, il Sundance propone una pellicola molto simile a quella diretta da Chris Kentis solo che, questa volta, Frozen sposta l'azione in alta montagna.
Dal romanzo di Robert Harris, Polanski trae un (discutibile) noir sulla parabola di una giustizia indegna di questo nome, tutta “chiacchiere e distintivo”. Politici corrotti, agenti segreti coinvolti, osceni crimini di guerra e, nel mezzo, delitti senza castigo e sacrifici di innocenti.
Dopo aver esordito nel lungometraggio con il godibile, anche se derivativo, Creep (2004), l’inglese Christopher Smith aveva poi “cambiato direzione” con Severance (2006) horror grottesco che poco o nulla aveva a che fare con le atmosfere del film precedente. Ora, giunto alla terza pellicola, il giovane regista conferma la sua avversione alla ripetizione e, contemporaneamente, la sua voglia di esplorare il genere in tutte (?) le sue svariate sfaccettature. Triangle, infatti, differisce completamente dai lavori precedenti e si presenta quasi come un esperimento, sia nella forma che nel contenuto.
Inizia ricordando quest'impressionante dato statistico Sons of Cuba vincitore del Marc'Aurelio d'argento come miglior documentario per la Sezione L'Altro Cinema-Extra all’ultima edizione del Festival Internazionale del Cinema di Roma.
Per indagare le ragioni di questo primato, il giovane documentarista inglese Andrew Lang si è immerso nella controversa realtà cubana per più di due anni (dal 2005 al 2007). Con una troupe composta quasi interamente da tecnici locali, Lang ha ottenuto, unico caso in quasi cinquant’anni di Rivoluzione cubana, l’autorizzazione a girare all’interno di un istituto scolastico: l’Havana Boxing Academy. Qui vengono formati i giovanissimi boxeur (dai 9 agli 11 anni) che avranno il compito di continuare tale gloriosa tradizione, attraverso un duro regime di allenamento quotidiano: sveglia alle quattro del mattino, cinque ore di esercizio fisico, lezioni scolastiche fino al pomeriggio e poi di nuovo in palestra.
Sforzi e fatica in nome dell’ideale rivoluzionario (“Attraverso lo sport, la rivoluzione avanzerà”, nelle parole del Líder Máximo Fidel Castro), già così forte in loro, ma anche in nome di una possibilità di riscatto dalla miseria delle loro condizioni di vita.