Vent'anni dopo
Si dice che in tutte le grandi famiglie ci sia la "pecora nera", il parente che ha deviato dalle linee generali, decidendo di non assoggettarsi alle regole come tutti, un qualche lontano cugino o zio che mentre tutti si impegnano seriamente ha scelto di campare a sbafo, lavorando il meno possibile, per godersi la vita, solo gioco e belle donne. Come biasimarlo, se ci riesce? Nella "famiglia" del cinema italiano, da vent'anni questo ruolo se lo è ritagliato Leonardo Pieraccioni, che anche a causa di qualche sua spiritosa dichiarazione sappiamo ben intenzionato a campare divertendosi e lavorando il meno possibile.
Sole, amore e fantasia
Si usa dire che ogni essere umano è un'isola. Ma allora forse è più corretto dire che siamo arcipelaghi, tante piccole isole vicine, a volte collegate le una alle altre. E quando soffia il vento, porta scompiglio dappertutto. Damiano (Scamarcio) e Chiara (Chiatti) stanno per sposarsi, bel ragazzo lui di facoltosa famiglia di agricoltori, bella ragazza di più umili origini ma assai per bene lei.
Diciamo subito che da un punto di vista formale Romanzo di una strage è un ottimo esempio di cinema di divulgazione, di denuncia, con un appassionante crescendo da cupo thriller, all'altezza di tanti film complottasti degli anni '70, interpretato da un cast perfetto. Perché in un film come questo la discussione sulla sostanza rischia di far passare in secondo piano il giudizio sulla confezione, che è lodevole. I fatti sono noti: il 12 dicembre del 1969 scoppia una bomba nella sede della Banca dell'Agricoltura in Piazza Fontana a Milano. Intanto scoppiano a Roma altre tre bombe, un altro ordigno viene trovato inesploso a Milano. Istantaneamente le indagini puntano sugli anarchici. Tre giorni dopo il ferroviere Giuseppe Pinelli vola dalla finestra della Questura, mentre viene arrestato e subito additato come colpevole ai mass media un altro anarchico, Pietro Valpreda. Della morte di Pinelli viene ritenuto moralmente responsabile il Commissario Luigi Calabresi, che sarà ammazzato nel maggio del 1972.
I nostri giornali avevano reagito con patriottici toni battaglieri alla sconfitta di Giuseppe Tornatore ai Golden Globes, sicuri che il suo Baarià avrebbe tanto poi fatto un figurone alla notte degli Oscar del 7 marzo.
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Indossa ancora la tonaca ma questa volta seriamente (o quasi) accanto a una Laura Chiatti scatenata. Carlo Verdone sarà a gennaio nelle sale con Io, loro e Lara, pellicola prodotta dalla Warner Bros svelata in anteprima in rapidi frammenti alle Giornate Professionali di Cinema a Sorrento.
Sorpresa ai botteghini italiani questa settimana. Sul filo del rasoio Baaria di Giuseppe Tornatore, forte anche della pubblicità ricevuta dopo essere stato scelto come il film che rappresenterà l'Italia ai prossimi premi Oscar, mantiene la prima posizione degli incassi e supera l'esordiente Bastardi senza Gloria di Quentin Tarantino.
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A far cadere la scelta sull’ultima, imponente fatica di Tornatore è stata un’apposita commissione istituita dall'Anica di cui facevano parte registi, giornalisti e produttori.
Grande entusiasmo è stato espresso da Carlo Rossella e Giampaolo Letta, rispettivamente presidente e amministratore delegato di Medusa Film che ha prodotto la pellicola. “Non possiamo che essere orgogliosi per questa scelta – hanno dichiarato – nella certezza che il cinema italiano abbia quest’anno l’opportunità di presentarsi ai premi Oscar con un’opera all’altezza della sua grande tradizione qualitativa e produttiva”. Ringraziando lo stesso Tornatore, i due rappresentanti ricordano (forse anche memori delle enormi aspettative, poi andate in fumo, che lo scorso anno circondarono Gomorra di Matteo Garrone) che “il cammino che porta all’Oscar è ancora lungo e ci impegneremo, con passione ed entusiasmo come abbiamo fatto finora, per arrivare fino in fondo”.
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Essere al Lido per la prima volta con un film in concorso è un’esperienza che ha messo in difficoltà più di un’attrice, specie se giovane, carina e italiana. La paura delle critiche. L’ansia da prestazione. O il terrore di sbagliare un vestito, una scarpa, un accessorio (capitò l’anno scorso alla povera Valentina Lodovini, pubblicamente crocifissa dalla direttrice di un noto giornale a causa di un panama portafortuna giudicato eccessivamente cheap).