Io, loro e Lara: Verdone il "melancomico"

Di   |   30 Dicembre 2009
Questo Cristo che si sacrifica, questo Cristo che soffre, questo Cristo che si immola.. Ricordate Padre Spinetti, il finto sacerdote interpretato da Carlo Verdone in Acqua e sapone? Il regista e attore romano è tornato in abito talare, ma stavolta non è né un impostore, né una caricatura come i preti impersonati in Un sacco bello e Viaggi di nozze. Il Padre Carlo di Io, loro e Lara, il suo nuovo film, è un prete vero. Anzi, un uomo, prima ancora che un prete. Una figura lontana dalle macchiette quanto dall’immagine dei prelati a cui ci hanno abituati i media. Lo ricorda lo stesso Padre Carlo in una scena del film. E, in quanto uomo, è in preda a dubbi, a una crisi d’identità prima ancora che di fede. Così lascia l’Africa, dove fa il missionario, e torna a Roma. Dove trova una famiglia allo sbando: il padre si è risposato con una badante moldava, la sorella ha una figlia alienata e l’ex marito che non le paga gli alimenti, il fratello è un cocainomane con relazioni poco stabili. In montaggio alternato vediamo Lara, ragazza tormentata tra assistenti sociali e chat erotiche, e capiamo che le loro strade si incroceranno. Il come è una sorpresa. Perché le vie del Signore sono infinite.
Il Verdone di Io, loro e Lara è un Verdone invecchiato, e non ha paura di mostrarlo. È un Verdone dolente: le rughe che solcano il suo volto, mostrate forse per la prima volta senza trucchi, sono segni nell’anima. E il suo volto riesce a raccontare emozioni complesse. Com’è complesso il suo film. E com’è complessa la sua recitazione, giocata su mezzi toni e su una mimica facciale sempre più evoluta, con tic e sfumature impercettibili quanto preziose. Stiamo parlando del Verdone attore perché Io, loro e Lara è soprattutto un film di attori. E Verdone si esalta negli scambi con Marco Giallini e Anna Bonaiuto (chissà che la scintilla non sia scattata in quell’incontro con Toni Servillo al Festival di Roma in cui l’attore di Afragola lodava le doti dell’attrice?), scambi che vivono di tempi recitativi perfetti.
Io, loro e Lara è un film ricco di gag riuscite, che scatenano naturalmente la risata. Dopo il primo sorso, però, il dolce del bicchiere di Verdone rivela un retrogusto amaro, quel gusto che lo fece definire qualche anno fa il “melancomico”. Perché il suo film parla dell’Italia di oggi, dei precari, degli immigrati, della difficoltà di integrarsi e arrivare a fine mese. Parla dei dubbi sulla fede in un mondo sempre più secolarizzato, e di una Chiesa concreta ed efficace quanto lontana da quella ufficiale. Ma soprattutto, anche se Verdone non è Antonioni, parla di incomunicabilità, di un mondo dove ormai nessuno sa ascoltare nessuno se non se stesso, dove ognuno si parla addosso. In questo senso, la scena simbolo del film è quella tra Padre Carlo e la sorella Bea, che lo interrompe continuamente parlandogli della propria figlia.
È strano che un film che dovrebbe funzionare per il messaggio, e in cui le gag comiche dovrebbero essere un accessorio, funzioni più per il secondo aspetto che per il primo. Alla fine restano impressi più i sorrisi che le lacrime, che dovrebbero arrivare e non arrivano, forse per qualche problema di coesione e di misura della sceneggiatura, che a tratti perde di equilibrio e si perde in qualche scena inutile. Ma è un film che è il perfetto (dolce)amaro per digerire l’indigestione di (cine)panettone natalizia. Ed è un film che ci ridà il Verdone che preferiamo, quello più maturo e riflessivo di Compagni di scuola, e che non mancherà di soddisfare tutti i “verdoniani” più convinti, con piccole autocitazioni che vanno dal Manuel Fantoni di Borotalco, al Padre Spinetti di Acqua e sapone, fino all’Ivano di Viaggi di nozze. È come se Verdone facesse i conti con il suo passato per proiettarsi nel futuro. L’autore romano è da sempre attento ai segnali di pubblico e critica per trovare la via del suo cinema. E questa, con la produzione della Warner Bros e non quella più superficiale di De Laurentiis, ci sembra la strada giusta. Quella che piacerebbe anche al padre Mario, scomparso di recente, a cui è dedicato il film. E che, lassù in cielo, avrà sicuramente apprezzato.

Giudizio

  • Funziona più quando si ride che quando si piange. Ma è un ritorno al Verdone "melancomico", quello che preferiamo.
  • 7/10