La storia, soprattutto quella dei piccoli eroi e delle grandi tragedie, è argomento allo stesso tempo facile e difficilissimo da portare al cinema. Facile perché nei suoi eventi ha spesso una forza narrativa ineguagliabile che sembrerebbe non richiedere ulteriori ornamenti, difficile perché proprio per questo si rischia spesso di sopravvalutarla. È proprio questo l'errore in cui precipita questo Le tredici rose, film spagnolo ambientato dopo la Guerra Civile del 1939, incentrato sul barbaro eccidio di tredici donne, militanti del JSU (Unione della Gioventù Socialista), che vennero arrestate e condannate a morte dal regime nazi-fascista con la falsa accusa di stare tramando un attentato contro Franco.
In un ambiente simile, in cui molto spesso e specialmente in Italia, incapacità fa rima con vanità, quando ci si trova di fronte un’attrice indiscutibilmente bella e affascinante, nel momento d’oro della sua carriera in virtù dei molteplici impegni cinematografici e televisivi che l’attendono, e si scopre che la spontaneità, l’autoironia e la battuta pronta sono altre doti importanti da lei possedute, non si può non rimanerne estasiati.
Ebbene, incontrare Gabriella Pession fa proprio questo effetto.
E’ difficile amare un uomo che non ti ama. Ma impossibile accettare che ti ami e riesca ad amare contemporaneamente altre donne. Vincenzo Marano, documentarista ed esperto direttore della fotografia, sceglie di raccontare quest’impossibilità sentimentale, che si traduce in scenate di gelosia, ossessioni morbose, istinti irrefrenabili. Ad incarnare un cieco fiume di passioni senza soluzione, la splendida Candice Hugo/Sarah, abituata a sedurre e vendere il suo corpo ogni giorno, per poi innamorarsi perdutamente ogni notte del suo giudice opportunista e donnaiolo. L'unico per cui farebbe qualsiasi cosa.
Si scrive Vincenzo Marano, ma si legge Vincenzò Maranò con l’accento sulle lettere finali, un po’ come adesso pronunciamo tutti Carlà dopo averla chiamata per tutta la vita Carla Bruni. Il perché è facilmente intuibile: Vincenzo Marano è un altro degli italiani che ormai ha fatto carriera all’estero, mentre da noi è praticamente sconosciuto. Stimato direttore della fotografia e regista televisivo, arriva finalmente sui nostri schermi con La donna di nessuno, in uscita il 26 giugno in 60 copie. Che a tutti gli effetti è un film francese. “Io Vincenzo lo conoscevo, ma non lo conoscevo come Vincenzo Marano, lo conoscevo come Vincenzò Maranò” conferma Anna Galiena. “Era il regista di alcune miniserie di prestigio in Francia: quando c’era un bel film in tv, era firmato da lui. Ho letto questo copione, che mi è sembrato molto interessante, ma che poteva diventare qualsiasi cosa. È stato decisivo l’incontro con lui: ho incontrato qualcuno che ha una visione, delle passioni, non è uno che si ferma alle parole, ma va a scavare, a smuovere cose scomode”. La Galiena nel film di Marano è una famosa maitresse, che un ambizioso p.m. cerca di incastrare. Ma nell’inchiesta si scontrano anche le vite di una delle prostitute, che è l’amante del giudice, di una giornalista d’inchiesta, e di un poliziotto. I destini di queste persone sono legati o lo diventeranno. Il film è tratto dal racconto di Clara Dupont-Monod Histoire d’une prostituèe, che l’attrice Candice Hugo ha voluto fortemente portare sullo schermo, scrivendone una sceneggiatura e tenendo per sé il ruolo delicato di Sarah, prostituta e amante sensibile.