The Revenant: Recensione

Di   |   14 Gennaio 2016
The Revenant: Recensione

 

(Oh baby) It’s a Wild World

Quale è la molla che fa andare avanti un piccolo fragile essere umano, per quanto venga massacrato dal destino, sballottato dagli elementi naturali, frantumato nel corpo, devastato nell’animo da lutti e tradimenti? Quanto è forte l’istinto di sopravvivenza e può la determinazione dello spirito avere la meglio sulle ingiurie cui è stato sottoposto un corpo? Quando della vita (e a chiamarla vita si faceva già uno sforzo) non è rimasto nulla, tutto è stato portato via e restano solo sangue, fango, escrementi e dolore, fame e gelo e la crudeltà degli uomini e della natura, entrambe ugualmente spietate, non danno tregua, cosa può indurre a non lasciarsi andare, a scivolare via da tanto patimento: una cosa sicuramente, il desiderio di vendetta.


Queste sono le riflessioni che suscita la visione di The Revenant, il nuovo film di Alejandro Gonzáles Iñárritu, liberamente tratto, arricchendolo, dal libro di Michael Punke, che narrava la storia vera dell’esploratore Hugh Glass, personaggio già trattato nel film del 1971, Uomo bianco va’ col tuo dio. Nei primi dell'800, Glass, lungo il fiume Missouri guidava  spedizioni di cacciatori di pelle che contendevano le magre risorse del territorio ai francesi e ai nativi ridotti anch’essi allo stremo. A Glass, guida bianca ma un tempo compagno di una nativa, è stato tolto tutto, apparentemente anche la vita. Durate la fuga da una tribù ostile, viene abbandonato da un traditore, agonizzante dopo l’attacco selvaggio di un orso grizzly (inedita scena di rara, davvero primitiva violenza), che lo ha maciullato. Affamato e con le ferite infette, striscerà, si rialzerà, marcerò zoppicando attraverso un territorio innevato, glaciale, desolato, sopravvivendo a rapide, strapiombi, imboscate degli indiani e dei francesi, sempre rialzandosi fino ad arrivare là dove doveva. Un calvario doloroso che lo spettatore condividerà in ogni dettaglio. Tom Hardy è l’antagonista, il Malvagio, dallo sguardo spiritato, avido e gretto, reso bestiale da una vita disumana. Il leale capitano è affidato a un civile e sconvolto Damhnall Gleeson. Gli eccezionali panorami che fanno da cornice alla tragica storia (il film è stato girato in Canada e Argentina), ripresi dalla splendida fotografia di Emmanuel Lubezki, sono di tale mistica suggestione da rendere inevitabile un rimando a Terrence Malick, ormai pietra di paragone in questo campo, quando la natura diventa una presenza magica, mentre una voce fuori campo, unico legame di Glass con la vita, mormora parole in lingua indiana e lo splendore immoto dei panorami accoglie con indifferenza la sanguinaria pena di vivere umana. Eccezionali gli effetti in CGI della scena dell’assalto dell’orso e anche in altre occasioni l’immedesimazione è totale. Splendide le musiche di Ryuichi Sakamoto, Bryce Dessner e Carsten Nicolai. Quanto a Leonardo Di Caprio, protagonista assoluto, può tranquillamente infischiarsene dei premi (anche se ha appena vinto l’ennesimo Golden Globe), perché lui il suo posto nel cuore dei fan e nella storia del cinema se lo è guadagnato, non solo con le sue capacità di attore, ma con le scelte accurate dei film da girare. The Revenant è un altro di quei film che gettano una luce funebre sul mito del West, nessuna calda casa nella prateria ad attendere con affetto l’eroe che torna dopo gloriose avventure, ma bande di predoni affamati, resi spietati dalle privazioni, approdati dal vecchio continente in cerca del già promesso sogno, che hanno ritrovato, senza la minima variazione, tutta la spietata crudeltà della lotta per la sopravvivenza, a qualunque costo. Homo homini lupus, senza nemmeno le regole del cosiddetto wild world, di cui l’essere umano ha sempre dimostrato di essere ben più selvaggio.

 

 

Giudizio

  • Into the Wild
  • 8/10

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