La storia, soprattutto quella dei piccoli eroi e delle grandi tragedie, è argomento allo stesso tempo facile e difficilissimo da portare al cinema. Facile perché nei suoi eventi ha spesso una forza narrativa ineguagliabile che sembrerebbe non richiedere ulteriori ornamenti, difficile perché proprio per questo si rischia spesso di sopravvalutarla. È proprio questo l'errore in cui precipita questo Le tredici rose, film spagnolo ambientato dopo la Guerra Civile del 1939, incentrato sul barbaro eccidio di tredici donne, militanti del JSU (Unione della Gioventù Socialista), che vennero arrestate e condannate a morte dal regime nazi-fascista con la falsa accusa di stare tramando un attentato contro Franco.
In un ambiente simile, in cui molto spesso e specialmente in Italia, incapacità fa rima con vanità, quando ci si trova di fronte un’attrice indiscutibilmente bella e affascinante, nel momento d’oro della sua carriera in virtù dei molteplici impegni cinematografici e televisivi che l’attendono, e si scopre che la spontaneità, l’autoironia e la battuta pronta sono altre doti importanti da lei possedute, non si può non rimanerne estasiati.
Ebbene, incontrare Gabriella Pession fa proprio questo effetto.