Vita di Pi 3D: Recensione
Di Giuliana Molteni | 20 Dicembre 2012La tigre nel cuore
Strana la storia di Pi, che non deve il suo nome alla geometria ma più prosaicamente alla piscina di Pondicherry, India meridionale, luogo d'incanti in cui il padre si innamorò della madre, chiamandolo Piscine Molitor. Sapremo la sua storia mentre la narra a uno scrittore che lo ha raggiunto ormai adulto in Canada. La vita di Pi è stata lieta e bella in gioventù, un ragazzo intellettualmente curioso e religiosamente onnivoro, nell'abbraccio della meravigliosa famiglia che lo aveva sempre lasciato libero di esplorare. A Pondicherry, deliziosa ex colonia francese, il padre negli anni '70 apre uno zoo, luogo magico per il giovane Pi. Ma per sopraggiunte difficoltà economiche deve chiudere e partire per il Canada con famiglia e animali, in cerca di una seconda occasione.
Il cargo però affonda durante una terribile tempesta e Pi rimane a galleggiare su una scialuppa, da solo finché non si trova a doverla dividere con la feroce tigre dal bizzarro nome, Richard Parker, l'animale di maggior pregio e fascino dello zoo. Per 227 giorni vagheranno per l'Oceano Pacifico, uniti dal crudele, indifferente destino, fra scaramucce per la sopravvivenza che poco alla volta porteranno alla convivenza dettata dallo sfinimento. Pi sempre sospeso fra fede e razionalità, fra l'approccio scientifico/sperimentale e l'abbandono alla volontà superiore, vive così la sua più grande avventura, nella quale naviga dentro la sua anima e fra le distese senza fine dell'oceano, nella sua infinita piccolezza contro l'immensità della natura, con la limitatezza della propria anima nel confronto con lo spirito cosmico, comunemente detto Dio (ricordando così in qualche modo il protagonista del film Oceano di Folco Quilici). Valido interprete del film è il diciassettenne Suraj Sharmaper, che da adulto è Irrfan Khan. Compare brevemente Gerard Depardieu nel ruolo di un brutale cuoco di bordo, mentre lo scrittore è Rafe Spall (visto nel ruolo di Shakespeare in Anonymous di Emmerich). Ang Lee usa tecnologie stratosferiche, facendo di Vita di Pi un capolavoro dal punto di vista estetico con riprese di assoluta fascinazione, enfatizzate da un coinvolgente 3D: la tempesta e il naufragio e l'inabissamento, degni di Titanic, la resa degli animali, e soprattutto della tigre, spettacolare (ne è responsabile Bill Westenhofer già al lavoro in Cronache di Narnia), l'incanto delle trasparenze dell'acqua che spesso si rispecchia col cielo, confondendosi e confondendo la prospettiva, il brulicare di stelle e di riflessi nella notte boreale con le luminescenze delle meduse e l'emozionante irruzione di una megattera danzante al chiaro di luna, la transumanza del branco di pesci volanti, l'isola ricoperta di migliaia di teneri suricati. Tutti momenti che restano impressi nella memoria. Il film colpisce lo spettatore con la forza delle sue immagini, lasciandogli però di che riflettere alla luce del colpo di scena nel sotto finale. Tratto dall'omonimo bestseller di Yann Martel, Vita di Pi, ritorno alla regia di Ang Lee dopo tre anni di inattività, è una strana storia che si presta a molte diverse letture, che contiene molti messaggi, le cui metafore sono comprensibili solo alla fine. Non è Mowgli e non è un edulcorato documentario alla Disney e nemmeno un crudo prodotto National Geographic, è una storia originale, lirica e visionaria che tratta temi alti, fede, accettazione, destino, sublimazione e non ultimo un discorso sulla forza dell'affabulazione.
Giudizio
- uno di quei film strani che nel ricordo diventano più belli
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