Taken - La vendetta: Recensione

Di   |   10 Ottobre 2012

Giù le mani dalla famiglia

Guai a far arrabbiare Bryan, cinquantenne ancora molto in forma, per anni nei servizi segreti USA come "preventore", ai massimi livelli di professionalità, in pensionamento a L. A. per stare vicino all'ex (ancora amata) moglie e alla figlia post-adolescente, nei cui confronti è accusato di essere iperprotettivo. Ma meglio così. Lo avevamo infatti visto nel film precedente, quando aveva messo a ferro e fuoco Parigi per riprendersi la ragazza, incautamente rapita da una bieca congrega di trafficanti di carne umana, che aveva giustamente massacrato durante il recupero. Figurarsi dunque la sua reazione, quando a essere sotto tiro è tutto il suo circolo degli affetti, il suo nucleo famigliare al completo. Dal misero paesino dove sono stati riconsegnati i corpi dei defunti, con strazio dei parenti (nessuno che si interroghi sulla cattiva educazione impartita ai pargoli) parte la Vendetta.


Che si concretizza nel patron dell'enclave, il solito vecchiaccio spietato (Rade Sherbedgia, attore serbo specializzato in ruoli dal villain dell'Est Europa), che si scatena con tutti i mezzi a sua disposizione contro Bryan, deciso ad ammazzare nel peggior modo possibile lui, la moglie e la figlia. Mentre i tre sono in vacanza a Istambul (splendida location, fra Moschea di Solimano e Gran Bazaar) inizia l'assalto nei loro confronti, che si snoda fra alterne vicende per tre quarti del film fra sparatorie varie, un bell'inseguimento per le stradine della città vecchia, e un paio di corpo a corpo validamente coreografati da Alain Figlarz (The Bourne Identity) e ben eseguiti dal non più giovanissimo Liam Neeson. Come dubitare che il buon Bryan, ingiustamente colpito per la seconda volta nei suoi sacrosanti affetti, si lasci sopraffare? Questa volta anzi potrà contare anche sul valido supporto della figlia, ormai temprata a questo genere di disavventure. Stesso cast all'opera, oltre a Liam Neeson ritroviamo la sempre bella Famke Janssen e Maggie Grace, un po' grandicella ormai per il ruolo. Se già la prima puntata era, anche simpaticamente, iperbolica, questo secondo episodio richiede, anzi esige, una totale sospensione della credulità, con la sceneggiatura ancora una volta scritta da Robert Mark Kamen, che calca davvero la mano, obbligando lo spettatore a sorvolare anche su passaggi davvero assurdi della storia e su alcune "distrazioni" più concrete (la solita macchina coinvolta in plurimi incidenti la cui carrozzeria torna pressoché intatta dopo qualche fotogramma), il tutto non esente da qualche spunto di involontaria ilarità. I cattivi sono così odiosi e fuorviati che si attende con ansia di vederli stramazzare in un lago di sangue, perché il "politicamente corretto" non abita più qui. Dirige Olivier Megaton, "estensione" operativa di Luc Besson che con la sua Europa Corp produce. Per il noto regista/produttore/sceneggiatore francese i cattivi continuano a essere gli albanesi, mentre sappiamo che dietro la tratta delle bianche c'è tutto il mondo dell'Europa dell'est e mica solo loro. Ma per l'americano medio, che ha determinato il buon successo del film al botteghino negli Usa, non fa nessuna differenza, Albania o ex Jugoslavia sono paesi lontanissimi, che ne sa lui cosa e dove sono e soprattutto a chi importa? Importa la logica del Giustiziere, che piace sempre tanto, perché tocca tasti atavici. La Famiglia non si tocca, e basta.

Giudizio

  • “se mi toccano dov’è il mio debole…” (Rossini)
  • 5/10