jOBS: Recensione
Di Giuliana Molteni | 14 Novembre 2013Credere nell'impossibile
Il Genio, il Guru, il Santo Padre degli oggetti più amati, della tecnologia che ha reso più liberi. Per altri una specie di Genio del Male, l'astuto manipolatore di mercato, il monopolista che subdolamente ha ammaliato i mercati mondiali, schiavizzando le masse nel legame con la dipendenza dai suoi prodotti (altri dicono circa le stesse cose di Bill Gates, consoliamoci). Steve Jobs è morto da solo due anni e già arriva sugli schermi una rispettosa biografia. Con una struttura tradizionale, partendo dalla presentazione dell'iPod del 2001, la narrazione ripercorre la vita di Jobs dai tempi dell'Università in poi, ragazzo adottato che non conosceva i suoi genitori biologici, con la sua caratteristica di girare scalzo (e complessivamente poca igiene, come già si diceva in I pirati di Silicon Valley ma riguardo a Bill Gates, vuoi dire che genio e cattivi odori vanno a braccetto?).
E poi i viaggi, le esperienze con le droghe, le prime intuizioni, la furbizia di sfruttare nerd tecnologicamente geniali, l'idea dei primi personal, la lotta per trovare i soldi e per mantenere il controllo. Si comincia nel solito garage (cosa sarebbe dei nostri tempi senza i garage di padri compiacenti e comprensivi?), con il corteggiamento degli adulti che subodorano l'affare e mettono i soldi, la creazione del marchio Apple, la convention del 1984 con il celeberrimo spot diretto da Ridley Scott. Si prosegue con i contrasti con il consiglio di amministrazione, con l'ex CEO di Pepsi, da Jobs voluto e che lo tradirà, poi il progetto Mac seguito dalla sua uscita forzata da Apple nell'85 a 30 anni. Poi velocemente la fondazione di Next (non si accenna a Pixar), si chiude con il ritorno nel '97 e il regolamento di conti neanche troppo sanguinoso (che nessuno mai si fidi di nessuno, a certi livelli, è da manuale). Sui titoli di coda si comunica che Apple è stata l'azienda più "redditizia" nella classifica dei brand. Nemmeno si accenna alla malattia e alla morte. Come approfondimento psicologico avremo qualche accenno alla spigolosità come essere umano (il rifiuto della figlia avuta dalla prima fidanzata), le storiche sfuriate con i collaboratori, l'intransigenza nel perseguire il proprio progetto (come altri personaggi responsabili di invenzioni che ci hanno cambiato la vita, anche Jobs era ossessivo e maniacale). Certe parti sono più sorvolate, anche troppo, ma sarebbero state supposizioni, non fatti, e questa non era l'intenzione del film indipendente girata da Joshua Michael Stern, su sceneggiatura dell'esordiente Matt Whiteley, al quale farà seguito nel futuro quello realizzata da Sony, con il supporto della biografia ufficiale scritta da Walter Isaacson. La genesi del nostro futuro tecnologico era stata meglio raccontata in un piccolo film indipendente del 1999, I pirati di Silicon Valley. Ben scelto il cast anche per somiglianza con i personaggi originali, lo stesso Ashton Kutcher, che nella realtà è molto più bello di Jobs, mostra una notevole aderenza anche fisica con il suo personaggio, che aumenta con il trucco nell'età più matura. Buona scelta di canzoni, a scandire il passare degli anni. Spesso da operazioni come questo film non emerge la grandezza, l'originalità del personaggio (in genere si tratta di eccezionali "cani sciolti"). Di Jobs, del suo genio nulla traspare, a uno spettatore ignaro sfuggirebbe lo spessore, la sua statura, che lo si voglia vedere in positivo o in negativo, di creativo, di intellettuale con grande senso commerciale. Per gli appassionati jOBS è un film irrilevante e incompleto, pur nelle sue due ore di durata, per il pubblico mass market ugualmente privo di interesse perché non mostra (e non scava) nella complessità del personaggio.
Giudizio
- Pretend the Universe
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