Mistress America: Recensione

Di   |   14 Aprile 2016
Mistress America: Recensione

 

“All Gone to Look for America”

Tracy (Lola Kirke) si trasferisce a NY per trovare la sua strada (vorrebbe fare la scrittrice) e, sola nella metropoli, va a cercare quella che diventerà la sua sorellastra, Brooke (Greta Gerwig), perché i rispettivi mamma e papà stanno per risposarsi, in cerca di una second chance in età avanzata (non si smette mai).


Ragazza piena di certezze quanto Tracy è vaga, Brooke vive nel caos e nella precarietà ma sempre agganciata a progetti risolutivi. Ora sta per condurre in porto il suo progetto più importante, aprire un ristorante, ovviamente “alternativo”, diversi da tutti gli infiniti altri. Basta poco, basta conoscere dei tali, procurarsi i finanziamenti, mantenere sempre un aspetto smart, un’intima convinzione di vittoria, guai farsi vedere afflitti, indeboliti, dubbiosi. Il film segue il loro rapporto, i vari incontri con altri personaggi, le interazioni che porteranno a una conclusione e poi a un’altra, fra mille chiacchiere a vanvera. Inutile citare Woody Allen, siamo mille miglia lontani e questo giro di personaggi probabilmente nemmeno lo vede come pietra di paragone. Anche quando tutto crolla e si deve ricominciare, reinventarsi una new start, un’ennesima “chance”, è obbligatorio ritrovare l’entusiasmo, continuando a convincersi che a forza di provare si riuscirà. Ciò nonostante dei due personaggi femminili, Brooke sembra più positiva, ci mette proprio la faccia, si espone mettendosi in posizione vulnerabile. Tracy invece è più parassitaria, una vera intellettuale che osserva e scrive sul suo taccuino le vite degli altri. Ma lei, che vita vive? E così Brooke anche nella sua irrisolutezza offre spunto a Tracy per quel racconto che forse potrebbe influenzare la sua carriera (se mai ne avrà una). Gerwig è ormai ufficialmente un’icona di questo tipo di storie, Lola Kirke, già protagonista della spiritosa serie intellettual-chic Mozart in the Jungle, è la sorella minore della bellissima Jemima, una delle “ragazze” di Lena Dunham in Girlsl (famiglia dotata, senza dubbio). Chi lo sa, l’America dei nuovi creativi (nuovi ormai per nulla) è questa e Noah Baumbach è il suo cantore. Le generazioni hanno un ricambio velocissimo, a 30 anni hai già il fiato sul collo di chi ti incalza dietro. Tutti sono “creativi”, perché costretti da un sistema che li ha plagiati in questa direzione, modello tragicamente globalizzato dalla crisi ma che mostra la corda, “io valgo” martellato nelle teste implica che si rifugga ogni sistemazione meno che “artistica” come fosse sinonimo di totale fallimento, tutti stanno facendo qualche cosa per campare mentre stanno portando avanti nobili progetti (versione universalizzata dei camerieri di Hollywood). Gli adulti qualcosa hanno realizzato e messo via e si fanno attrarre dall’entusiasmo (o fanno finta), a parole ammirati dalla tempra di chi non demorde mai, ha sempre un altro sogno, chiuso un cassetto se ne apre un altro, sempre in procinto di cambiare, fare altro, trasferirsi, mutare, evolversi. Guai fermarsi e guardare indietro (e guai a guardarsi allo specchio), si potrebbe vedere il sorriso a tutti i costi che comincia ad appannarsi. Pur essendo fidanzato (o forse proprio per questo) con Gerwig, Baumbach descrive i suoi personaggi senza riuscire a farli diventare graditi a chi guarda, senza che si palpiti per loro (sarà forse un problema generazionale di chi guarda, probabilmente i giovani si immedesimano di più). Ma come già dicevamo per Frances Ha, pensiamo che costituiscano un modello nefasto, molto e furbamente ben infiocchettato, catalogato come “Mumblecore” (termine appositamente coniato), perché solleticano, gratificano comportamenti da cui sarebbe invece salutare uscire al più presto. Con l’eccezione di Giovani si diventa, ben più amaro e pungente, anche Mistress America risente di quelli che per noi ormai sono difetti, vezzi narrativi nella messa in scena di un genere che ormai ha detto molto se non tutto. Ma il successo della serie tv Girls sta a dimostrare che abbiamo torto. Chissà quando i “ggiovani” pseudo intellettuali made in USA si sveglieranno. Intanto al Sistema vanno benissimo così.

 

Giudizio

  • La certezza dell’irrisolutezza
  • 6/10