L’uomo di acciaio - Man of Steel: Recensione
Di Giuliana Molteni | 17 Giugno 2013Emarginato o Dio?
Ci sono favole che possono essere raccontate mille volte, con mille variazioni, restando sempre valide, capaci di rilanciarsi di decennio in decennio, di generazione in generazione, aggiornandosi al gusto del pubblico mano a mano che questo evolve (vale anche per Shakespeare). Quindi eccoci a parlare della nuova versione di una storia che conosciamo bene, quella di Superman, in Italia conosciuto negli anni '50 come Nembo Kid (prima ancora come Ciclone), personaggio nato nel 1932 dalla penna di Jerry Siegel e Joe Schuster, anche se pubblicato solo nel '38. E purtroppo questa volta il gioco non funziona, nonostante al lavoro si siano messi alcuni personaggi che hanno saputo regalarci in precedenza parecchie ore di spettacolare, intelligente divertimento (Christopher Nolan, David S. Goyer, Zack Snyder).
Ma la necessità di dire "qualcosa di autoriale" sul personaggio, già oggetto di infinte trasposizioni su piccolo e grande schermo, impersonato già da molti attori, ha provocato un inutile ipertrofismo narrativo, con una sceneggiatura aggrovigliata che nella prima parte manca di fluidità e pathos. La seconda, la più estesa, con l'arrivo sul nostro pianeta dello spietato generale Zod (un inquietante Michael Shannon), precipita in un delirio distruttivo da convenzionale film di fantascienza (tipo La guerra dei mondi per intenderci), appesantita pure da alcune "spieghe", di quelle che è inevitabile definire "supercazzole". Il film di Snyder è una specie di prequel (oggi dicesi piuttosto reboot), in cui con inutili salti temporali, mal concatenati fra l'altro, si racconta del difficile inserimento di Kal-El nell'ambiente terrestre, merito soprattutto della meravigliosa famiglia umana che lo ha adottato, ampliando la parte dedicata al padre Jor-El (un valido Russell Crowe) e alla distruzione di Krypton. Quindi dopo gli ormai inevitabili drammi interiori, privi però di qualunque carica emotiva, il film si risolve in una serie infinita di combattimenti, sfracelli e distruzioni (a super-velocità, ovvio) fra il Nostro Eroe (guai parlare di Superman, la S della tuta significa Speranza, in kryptonese) e i malvagi avversari, indistruttibili come lui. Sfracelli tali e così prolungati da far sembrare i finali di Avengers o Transformers delle risse da bar, enfatizzati dalle musiche fragorose ma convenzionali di Hans Zimmer. Naturalmente non manca qualche allusione cristologica, mentre è assente qualunque forma di ironia e anche il romanticismo è appena sfiorato, nel rapporto con Lois (Amy Adams, insipida). In ogni modo consigliamo la visione in Imax, perché perlomeno ne uscirà gratificata la dimensione spettacolare, che è l'unico punto di forza del film (più debole il 3D riconvertito). Questa rilettura forzata di Superman ha partorito un personaggio i cui rovelli ci lasciano del tutto freddi. Senza voler considerare che, mentre non si decide a farla finita con Zod, che è venuto a devastare il pianeta a causa sua, milioni di umani inevitabilmente muoiono nella colossale distruzione di Metropolis e dintorni, senza che lui se ne curi minimamente. A fronte di quelli salvati nelle sue (poche) imprese precedenti, si perde così lo spirito del vecchio Superman, quella brava persona che "vigila su di noi" (someone to watch over us, per parafrasare la famosa canzone di Gershwin). Dove è andato a finire il premuroso custode delle vite dei fortunati cittadini di Metropolis? Arriverà, così ci viene detto nel finale, quando per un attimo sotto i classici occhiali di Clark Kent balena il sorriso da bravo ragazzo americano di Henry Cavill. Comprendiamo la necessità di rinnovare una saga. Ma così si è modellato un qualunque supereroe protagonista dell'ennesimo qualsiasi fanta-action di cui non sentivamo il bisogno, di cui non rimpiangeremo la fine. E nemmeno aspetteremo ansiosi il seguito, ovviamente già annunciato. A forza di rimodellarlo, come certe facce di attrici dopo troppi interventi estetici, Superman non è più lui.
Giudizio
- Nostalgia di Christopher (Reeve)
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