Christian è cresciuto ed è diventato un genio matematico, attività che si confà alle personalità autistiche, e ha messo a frutto questa abilità diventando un geniale contabile. Ma di una specie particolare: Christian controlla, aggiusta, fa fruttare i patrimoni di grandi criminali, di famiglie mafiose, di oligarchi russi, di trafficanti sudamericani, di triadi cinesi. Chiaro che per destreggiarsi in mezzo a questa clientela, le semplici capacità di matematico non bastano. E quanti si aspettano da lui una semplice prestazione da ragioniere, un tranquillo anche se geniale mezze-maniche, avranno grosse sorprese, che siano i buoni o i cattivi, se non seguiranno le linee-guida morali del bizzarro personaggio. Molto non si può dire della trama per non spoilerare, perché The Accountant è in fondo un thriller con molta azione, ma è anche un dramma psicologico, è una commedia action con sentimenti, è insomma troppe cose e la sceneggiatura di Bill Dubuque (The Judge) non riesce a trovare il tono giusto, procedendo per blocchi che non si amalgamano bene, impuntandosi specie nel sottofinale su toni troppo distanti dai precedenti sviluppi. L’altalena fra dramma e sentimento, fra ironia e noir, fra azione e commedia non riesce insomma a trovare giusto equilibrio e The Accountant resta un film che vorrebbe essere un puzzle, come si mostra all’inizio, i cui pezzi devono essere ricomposti dallo spettatore, ma che non ci riesce del tutto. Dirige Gavin O’Connor (Pride and Glory,Warrior, Jane Got a Gun), sempre interessato a storie di sofferti legami famigliari. Senza andare troppo per il sottile però, nel complesso, nelle sue iperboli tipiche dei film con un protagonista dalle esagerate skills, The Accountant riesce a intrattenere discretamente. Ben Affleck risponde alle note critiche sulla sua mono-espressività con un ruolo che gli calza a pennello (a tratti mugugna una filastrocca, quella di Solomon Grundy, il che autorizza a voli pindarici in direzione DC Comics). La ragazza contabile pure lei, unica a stabilire un qualche ponte di comprensione con il protagonista è l’appuntita Anna Kendrick. J. K. Simmons è l’onesto poliziotto, coadiuvato da Cynthia Addai-Robinson (Spartacus, Arrow), protagonisti di una sottotrama di cui alla fine importa poco. John Lithgow è il magnate che non dovrebbe far revisionare i suoi conti. Jon Bernthal è l’avversario, il killer tradizionale (sembra). Oltre alla componente puramente ludica, che mette al centro dell’azione un comune essere umano afflitto per di più un grave handicap, ma dotato di capacità alla Jason Bourne, il film ci lascia, da genitori, con una riflessione: è meglio proteggere o forgiare alle durezze del mondo i propri figli? Handicappati o meno, tutti troveranno terribili ostacoli da affrontare, come prepararli? Fare loro da scudo per sempre sarebbe impossibile, meglio forgiarli nell’acciaio e farne armi da assalto. Chissà, forse la scuola migliore, senza eccedere, potrebbe essere proprio quella del padre del protagonista.