Una pietra di diverso colore conferisce a ciascuno di loro i super-poteri, che però saranno in grado di usare solo quando impareranno il valore più profondo dell’amicizia. Senza eccessivi aggiornamenti nel look, senza approfondire maggiormente i caratteri (c’è un accenno al bullismo “moderno”), senza eccessi da CG che invece trasmette un senso di vintage, facendola, in una parola, semplice, il film Power Rangers è tratto dalla serie Super Sentai, iniziata nel 1993, franchise della Seban Entertainment dal potente merchandising, come ben sanno genitori di varia età. Si indirizza al fanciullino nostalgico, al ragazzino ancora fan, al bambino che ha visto gli episodi solo in tv. Senza nessuna pretesa se non del puro intrattenimento, infastidisce meno del previsto ma purtroppo a tratti annoia, causa l’eccessiva lunghezza (più di due ore). Nella prima parte il regista Dean Israelite (su sceneggiatura di John Gatins, autore di Kong, Need for Speed, che rielabora l’originale di Haim Saban e Shuki Levy) si prende molto tempo per introdurre i personaggi, le loro storie, i tentennamenti, i rapporti fra i vari membri del gruppo e anche con le famiglie. Solo nella seconda parte avanzata si verificano i ripetitivi scontri fra i singoli Rangers e la strega, fra il suo gigantesco demone alato a 24 carati Goldar e il robottone Megazord, formato dai cinque ragazzi tutti insieme assemblati. Perché finché non saranno davvero cinque corpi e un’anima non troveranno la loro dimensione, non tireranno fuori il loro potere. Poco significativo il gruppo dei ragazzi, nessuno si impone all’attenzione. Si diverte Brian Cranston a comparire solo in CG e incassa il suo assegno (ma forse l’ha fatto per nostalgia, nel 1993 aveva doppiato dei personaggi della serie). Si diverte forse di più Elizabeth Banks in trucco, parrucco e abbigliamento davvero eccentrici, una vera strega post-moderna. Vecchie belle canzoni e un cameo finale dei protagonisti della serie del 1994 chiudono l’esperimento. Anche per i nostalgici meglio forse Stranger Things.