Lo chiamavano Jeeg Robot: Recensione

Di   |   25 Febbraio 2016
 Lo chiamavano Jeeg Robot: Recensione

 

Corri ragazzo laggiù…

Lo chiamavano Jeeg Robot è un film che sta a dimostrare che si può. Si può fare in Italia un film che parli in modo originale di super eroi (molto meglio del Ragazzo invisibile di Salvatores); si può contaminare un tema usurato come quello dei superpoteri immergendolo in un’ambientazione anomala, quella della più spietata malavita romana, fra Romanzo Popolare e Suburra/Gomorra (meglio che gli zombie vittoriani di PPZ); che si possono trovare fra i nostri attori un “buono” e un “cattivo” credibilissimi; che si può inserire una trama sentimentale, originale anch’essa, perché ben scritta; che si possono simulare effetti speciali senza dover spendere miliardi.


Enzo (Claudio Santamaria ingrossato di venti chili) è un piccolo delinquente in fondo alla scala alimentare delle vere belve chi si spartiscono il mercato dell’illegalità periferica romana. Senza amici, parenti o amori, vive di espedienti, tornando a casa solitario, per strafogarsi di porno e budini alla vaniglia. Un giorno, mentre fugge dalla Polizia dopo un furtarello, cade nel Tevere, in mezzo a bidoni di sostanze tossiche, che ingurgita in quantità. Il liquame venefico invece che ammazzarlo gli conferisce un enorme potere fisico e una buona dose di invulnerabilità, che lo fa assomigliare a una specie di super-eroe, anzi a Jeeg Robot d’acciaio. Di Jeeeg Enzo non sa nulla, imparerà la sua storia grazie ad Alessia, giovane coatta bella ma con lieve ritardo mentale, figlia di un balordo suo amico, della quale si troverà ad essere l’unico paladino. Enzo all’inizio usa i nuovi poteri per fare un po’ di soldi ma, a causa di un “colpo” contro un furgone porta valori, si trova accidentalmente in rotta di collisione con un gruppo di delinquenti ferocissimi, il cui capo è Fabio detto Lo Zingaro, un folle isterico in cerca del salto di qualità, ex appartenente al cast di Buona Domenica, fissato con la musica italiana degli anni ’80. Questo equivoco fa deflagrare il conflitto fra lo Zingaro e una banda di napoletani ancora più feroci di lui, gente che per quattro soldi e un po’ di droga si scanna selvaggiamente. Mentre alcune azioni compiute da Enzo fanno dilagare la sua fama fra la gente, anche lui si dovrà misurare con la vecchia massima per cui a grandi poteri corrispondono grandi responsabilità. Ottimo Claudio Santamaria, con il suo personaggio reso ottuso da una vita da bestia, ancora però capace di ricevere una specie di “illuminazione”, finendo anche lui per credere in Jeeg e nei suoi poteri. Spettacolare il surreale personaggio di Luca Marinelli (La solitudine dei numeri primi, Non essere cattivo), che con istrionica bravura rischia di rubargli la scena. Sia lui che Santamaria anche cantano nel film, Marinelli si esibisce in una convinta cover di Un’emozione da poco di Anna Oxa e Santamaria sui titoli di coda canta una malinconica cover della famosa sigla del cartone. Ilenia Pastorelli, che ha alle spalle un Grande Fratello, è ben scelta anche per il suo tipo di bellezza degradata, che ci ha ricordato Elisabetta Rocchetti, la protagonista dell’Imbalsamatore. Dirige con grande mestiere Gabriele Minetti, su soggetto di Nicola Guaglianone, con cui aveva già realizzato due bei corti: Basette, con Valerio Mastandrea e Tiger Boy, riuscendo a declinare alla perfezione una storia “all’americana”, più manga che Marvel o DC. Molto credibile è il contesto italiano con personaggi ben delineati, dove ogni comparto, dalla fotografia al montaggio, dalla colonna sonora agli effetti, fa benissimo il suo lavoro. E se a un film americano si può accostare non sarà certo un Batman o uno Spiderman, ma piuttosto Chronicle o Kick Ass. Che a nessun genitore nostalgico (Hiroshi compie circa 40 anni) venga in mente di portare il figlioletto, perché la violenza del film è davvero a livelli di guardia. Lo chiamavano Jeeg Robot è un film così diverso, così insolito per il nostro panorama che speriamo davvero gli arrida un meritato successo. E speriamo anche in un sequel, perché il bel finale lo consentirebbe.

 

 

Giudizio

  • Romanzo criminale incontra i manga
  • 8/10