Lo Zoo è passato indenne attraverso molti incidenti diplomatici, molti fomentati ad arte per mantenere alto l’hype, sopravvivendo soprattutto al “tradimento” di tre collaboratori e grandi amici, Wender, Fabio Alisei e Paolo Noise, evento sul quale Mazzoli nel film ha molti sassolini da togliersi, che avevano abbandonato per trasferirsi a Radio Dj (trasferimento non baciato dal successo, comunque). Il filo conduttore della narrazione è affidato a uno sfigatissimo ghost writer, che insegue Mazzoli per raccogliere il materiale da elaborare, che riceve sotto forma di mail o chiavette usb, alternando chiacchierate dello stesso Mazzoli direttamente con lo spettatore. Si passa dall’infanzia alla prima e alla seconda adolescenza, da Los Angeles all’Italia, con la separazione poco cordiale dei genitori, che hanno costituito per il proprio figlio due modelli di comportamento opposti. Assistiamo alle prime messe in onda in piccole radio, con il lento scalare di qualità, gli incontri con qualche personaggio positivo, le donne, gli amori e alla fine l’approdo a 105, anche quello altalenante a causa delle intemperanze del soggetto. Segue il “tradimento” dei tre amici (tutti rientrati dopo la parentesi a DJ e tutt’ora in carica), la ricerca del nuovo cast e la reunion. C’è un messaggio? Sì, dice Mazzoli, c’è. Mai accettare punti nella vita, trasformarli tutti in virgole. Il film, tratto dal libro Radiografia di un DJ che non piace, scritto dal regista Davide Simon Mazzoli insieme a Marco che è suo cugino, racconta la storia di Mazzoli, ovviamente ripresa solo da una direzione, in versione politicamente corretta, edulcorando al massimo gli eventi e i contrasti interni ed esterni. Si dipinge un simpatico ragazzo che ha seguito il suo sogno e ce l’ha fatta, fra discese ardite e le conseguenti fortuite risalite, forse anche un tantino immeritatamente, perché di DJ e intrattenitori radiofonici quegli anni sono stati ricchi. Ma si tratta di un ragazzo fortunato, che non ha pagato gli errori commessi, anzi da essi è stato portato agli snodi determinanti della sua carriera. Pur rivolgendosi esclusivamente al mercato italiano (Mazzoli non è un Howard Stern), pensiamo (pronti a farci smentire) che un film come questo non trascinerà nelle sale frotte di spettatori, come è successo con parecchi personaggi anche più noti, comici e cabarettisti, quando sono sbarcati sul grande schermo, anche perché si mette in scena la parabola esistenziale di un personaggio di cui nessuno, al di fuori degli appassionati del suo programma, per di più radiofonico, sa nulla. La regia alleggerisce con ritmo il non eccelso livello di interesse e la recitazione serenamente dilettantesca di quasi tutto il cast, con inserti esplicativi e descrittivi in una piacevole animazione in CG, che distraggono da un product placement brutalmente sbattuto in faccia. Quanto ai volti noti, oltre ai veri protagonisti della storia, citiamo il cameo di Claudio Cecchetto, che spiega al suo interprete come caratterizzarlo meglio; Ugo Conti è un regista (a occhi chiusi ormai è Abatantuono meno rauco); Giancarlo Giannini si diverte a fare il (comprensibilmente) collerico Presidente della radio e Ricky Tognazzi l’editore insensibile che brutalizza il nerd Dario Eros Tacconelli, unico elemento verosimile della storia pur essendo anche lui un puro cliché.