La prua di una nave appare tra la nebbia. Ormeggiata tra schizzi di acqua lercia e pietra umida, sporca di calce. E' in partenza. Il fetore di urina dai bordi delle strade, un bambino sale sulla nave, e forse ha appena finito di mangiare un pasticcio di carne da cui schizzavano fuori scarafaggi. L'inizio di Dark Shadows saluta l'Inghilterra e si sposta sulla costa americana del Maine, a Collinsport. Banchine, pesce azzurro e sole. La luce è squamosa e vasta. Una cima erbosa di precipizio dove si infrangono onde, domina il paesino di pescatori, e accanto ad un albero solitario e burtoniano, la famiglia Collins, appena emigrata, osserva il nuovo mondo. Un amore disperato e pieno di rabbia dilaga nella incredibile hatfield house di fine '700, dark, pop, soap e strabordante di zucche bio. L'amore di una serva, seduttrice e quasi quasi illusa, per il signorino di casa, ormai cresciuto, Barnabas Collins. Il giovane sceglierà Josette, archetipo d'amore celestiale, pre-ectoplasmatico.
Nella primavera del 414 a.C., nel teatro di Dioniso, ad Atene, veniva rappresentata la commedia Gli uccelli di Aristofane: due uomini, stufi dei grattacapi della loro città e delle abitudini dei concittadini, decidono di creare, insieme ad una stirpe di uccelli, una città sospesa nel cielo, l'isola di Nubicuculia. La posizione risulta da subito strategica, a metà tra gli uomini e gli dei. Ogni collegamento fra i due poli è intercettato. Potere e controllo così non hanno limiti. Interrotto il legame uomo/divino, l'isola inizia la sottomissione del regno umano e di quello degli dei, sulla scia della grande Babilonia. Anche Jonathan Swift nei suoi Viaggi di Gulliver racconta di un'isola sospesa e in movimento. E' Laputa. Il senso del nome è incerto: forse significa "colui che governa dall'alto", ma sembra più probabile, e poetico, che sia "la scia del riflesso dei raggi del sole che sfiorano il mare, quasi come un'ala". E dopo il teatro, e la letteratura, è Hayao Miyazaki a regalare la magica visione di Laputa, con il suo Il Castello nel cielo. Prima opera che esce dall'incredibile Studio Ghibli, tra l'85 e l'86, appena fondato. Ci sono voluti 26 anni prima di vederlo nei cinema italiani. Un'isola sospesa, meravigliosa ed enigmatica.
Il contenuto è più importante della forma? To Rome with love è un goloso involucro che racchiude la rappresentazione satirica di quell'articolato progetto di costruzione della nostra società, in mezzo al quale si è ritrovato a mettere le mani persino Dio. Un involucro aggrovigliato, certo, ma potevamo pensare fosse cosa semplice?
Tornando ai gruppi di supereroi, tanto sono incompresi e perseguitati gli X-Men, tanto sono invece applauditi i Fantastici 4. Simboleggianti i quattro elementi, aria (la Donna Invisibile),acqua (Mister Fantastic),terra (La Cosa) e fuoco (Torcia Umana), sono talmente inseriti nel contesto sociale da non avere neppure l’esigenza di celare le loro identità. I Fantastici 4 sono forse l’unico caso di eroi solari nell’universo Marvel. Ad eccezione di Ben Grimm-La Cosa, costantemente afflitto dal suo stato(e chi non lo sarebbe?),gli altri sono tutti (consapevoli d’esserlo), modelli vincenti:Johnny Strom -Torcia Umana è bello, giovane, acrobata spericolato e colleziona auto e fidanzate;Reed Richards-Mister Fantastic è un genio, l’uomo più intelligente del pianeta;Susan Storm-Donna Invisibile, unisce il meglio d’ognuno:bellissima ed intelligentissima. Le due pellicole a loro dedicate, pur con le solite licenze e variazioni sul tema, ci mostrano come essi abbiano ricevuto i super poteri;la rivalità sul piano professionale e personale tra Victor Von Doom, alias Dottor Destino e Reed Richards;la più o meno capacità d’adatamento alla nuova condizione.Del fumetto permangono anche quelle atmosfere da commedia sofisticata in cui Lee e Kirby soventemente calavano i quattro. Nel secondo episodio, oltre all’immancabile Von Doom, fanno la loro apparizione Galactus (in osseguo alla serie Ultimate, viene mostrato come una nuvola e solo nel finale ne vediamo un guanto e parte del casco) e Silver Surfer, il surfista delle stelle, nato nel 1962 in piena rivoluzione Surf. A riprova di come Stan Lee fosse attento a cogliere i cambiamenti sociali e di costume e come tendesse a plasmarli per poi inserirli nella realtà supereroistica.
In principio fu Superman. Per la dimensione quasi mitologica che ebbe il kolossal del 1978 firmato da Richard Donner la citazione biblica non deve risultare blasfema. Tutto in quel film era monumentale. Gli effetti speciali, assolutamente avveniristici per l’epoca;la colonna sonora,nuovo capolavoro di John Williams dopo Guerre Stellari e Incontri Ravvicinati del 3° tipo e prima de I Predatori dell’Arca Perduta; lo stratosferico emolumento di Marlon Brando, ancora oggi la più costosa interpretazione della storia cel cinema rapportando il valore del compenso al minutaggio della prestazione. Il Superman di Donner,esattamente come il suo equivalente cartaceo, creato nel 1938 da Jerry Siegel e disegnato da Joe Shuster è a tutti gli effetti un archetipo.Nonostante le prime apparizioni cinematografiche del 1948 (Superman),1950 (Atom Man contro Superman) e 1951(Superman and the Mole Man) è con questa versione dell’Uomo d’accaio che si fonda il cinema dei supereroi. Nel suo film, Donner definisce i codici e la struttura del cinecomics di genere supereroistico. Egli infatti, nel trasporre Superman,da un lato riparte dalle sue origini(la distruzione di Kripton e i primi anni a Smallville),dall’altro coniuga insieme tutti i passaggi fondamentali della sua saga. Dalla presa di coscienza dei suoi poteri ancora giovanissimo nella cittadina di provincia,all’assunzione come reporter a Metropolis alle prime mosse come supereroe rosso blu, fino agli scontri con Lex Luthor e al coivolgimento con Lois Lane. Se queste fasi sono diluite su diversi albi, il film di Donner opta per una sintesi che ne rielabori la narrazione. Questa soluzione diverrà modello a cui tutti i cinecomics successivi si rifaranno. Nel 2006, Donner è tornato ad occuparsi dell’Uomo d’acciaio sia filmicamente,ha infatti presentato il suo Superman II:The Richard Donner’s cut, in cui è possibile vedere la versione rimontata col suo girato del secondo episodio della saga,che come sceneggiatore di fumetti. Per Action comics 844-846 e 851 e Action Comics Annual 11 ha appunto scritto la storia “L’ultimo figlio”. Il successo di Superman che portò alla realizzazione di ben quattro episodi interpretati dal insuperato Christopher Reeve (entrato talmente nell’immaginario che grazie alla sua somiglianza con Reeve fu scelto Brandon Routh per il ruolo del supereroe in Superman Returns), non produsse però l'effetto di lanciare il genere.
L’ uscita dell'ultimo kolossal di Spielberg tratto da TinTin, è solo l’ultimo esempio di quella relazione sempre più stretta tra il cinema ed il fumetto;media contigui nati più o meno nello stesso periodo agli inizi del novecento e che per molti versi viaggiano sulle stesse coordinate. E’ eccezionalmente lunga,ricca e complessa la sequenza d’ incroci tra le due forme d’arte popolare. Passaggi da una all’altra se ne rintracciano fin dagli albori delle rispettive storie,basti pensare che il primo Flash Gordon è del 1936 e lo stesso Buck Rogers fu protagonista di un ciclo di film di dodici episodi nel 1939. Dunque gli sceneggiatori cinematografici da sempre guardano a quell’universo bidimensionale e ai personaggi che lo abitano e tuttavia seppure la traiettoria si disegna in larga misura sull’asse "striscie disegnate-grande schermo",non mancano casi contrari;ovvero sia di film di straordinario successo che per questo hanno vissuto una declinazione fumettistica, come nel caso della splendida graphic novell che la Marvel dedicò al Pianeta delle scimmie o delle meno apprezzabili serie a fumetti che riprendevano Guerre Stellari e La Fuga di Logan. Quello delle trasposizioni è un filone molte volte ripreso ed abbandonato, contrassegnato come pochi altri da pellicole immortali, flop colossali, occasioni mancate, grandi successi, titoli sottovalutati. E allora, senza ulteriori indugi, immergiamoci in questa avvincente esplorazione del genere cinematografico più vivace e prolifico degli ultimi anni:il CINECOMICS.
Piu’ di un anno fa, vengo invitata ad una privatissima proiezione dell’ultimo film diretto ed interpretato da Al Pacino. Si chiama Wilde Salome e scorre secondo le stesse linee di “Looking for Richard” dove Pacino si cimenta nel desiderio di condividere il suo immenso amore per l’arte della recitazione, per i testi dei grandi autori, per il teatro. Per chi non ne fosse al corrente, si tratta di docu-films nei quali Pacino racconta la realizzazione di una piece teatrale dalla scelta del testo alla messa in scena, attraverso il momento dell’assegnazione dei ruoli, la ricerca e l’analisi dei personaggi, l’analisi del testo e tutte le difficolta’ logistiche e di rapporti interpersonali che sono sempre in agguato. Mi trovo in una piccola ma lussuosa sala di proiezione, poche persone, sorrisi, un saluto al “grande capo” e vari saluti agli altri invitati. Pacino si cura di salutare con particolare attenzione una ragazzina coi capelli rossi ed il viso pulito che e’ li’ con un ragazzo e di fianco alla quale mi trovo per caso seduta durante la proiezione.
Storia vera: Una ragazza europea che vuole fare l’attrice vola a Los Angeles per buttarsi alle spalle un passato troppo inerte e trovare una nuova energia, un nuovo entusiasmo. Deve usare i pochi soldi che ha per iscriversi ad una scuola che le procuri un visto che le permetta di stare negli Stati Uniti. Naturalmente, con il visto da studente non puo’ lavorare, ne’ guadagnare. Che fare? Come si parte da zero senza soldi e senza conoscenze? Come faccio a staccarmi dalle migliaia di aspiranti attori? Come faccio a tirare su due dollari senza infrangere la legge e farmi deportare con sogni, desideri e questo “benedetto” accento straniero? Questo la ragazza si chiede mentre col suo rinnovato entusiasmo si accinge a scrivere un corto nel quale mostrera’ tutte le sue capacita’ recitative. Cosa mi sta a cuore? Cosa e’ importante per me? Cosa voglio veramente dire?
“La-La Land = Un luogo conosciuto per attivita’ frivole, oppure uno stato mentale caratterizzato da aspettative irreali e mancanza di serieta’.” Da brava Newyorkese (pur se d’adozione) sono sempre inorridita all’idea di La-La Land, ovvero Los Angeles. Orrore confermato dalla mia prima visita parecchi anni fa: belle auto cabriolet con tutti biondi dentro, capelli al vento e pelle abbronzata, una replica continua di Barbie e Ken, casette di marzapane alla Hansel e Gretel lungo le vie assolutamente prive di pedoni (solo automobili), surfisti in attesa delle onde che paiono non avere niente da fare tutto il giorno (ma non lavorano?), seni a palla da rimbalzare appena entri in un locale un po’ affollato, assenza totale di una piazza in cui i pensionati si possano ritrovare per lamentarsi del governo, palazzi di legno, non un mattone. Ripeto: non un mattone. “Datemi un mattone! Voglio un mattone, voglio qualcosa di pesante da toccare, qualcosa di pesante a cui aggrapparmi per poter tenere i piedi per terra e non volare via e perdermi nell’universo!”.