Lincoln: Recensione

Di   |   23 Gennaio 2013
Lincoln: Recensione

Le stanze del potere
Avviso agli spettatori: Lincoln di Spielberg non è esattamente o solamente un film su Abraham Lincoln, primo Presidente degli Stati Uniti. È piuttosto un film sul difficile percorso della democrazia, sulla complessa macchina suscettibile di ogni sabotaggio e manomissione, che alla fine del suo funzionamento può portare al conseguimento degli scopi voluti dai governanti. Governanti che però non rappresentano mai la totalità della popolazione, che pertanto non sarà mai per intero soddisfatta del risultato. Ce ne lamentiamo oggi, era così anche nel 1865 (ed è sempre stato così e, pare, sempre sarà). Lincoln è un film sulle strettoie e sui compromessi, sul consueto groviglio di corruzione, ambizione, buona e mala fede della politica, nel cui svolgimento prende rilievo poco alla volta la figura del Presidente, figura civile e discreta che, nonostante un'apparente accondiscendenza pubblica e privata, a un certo punto si erge in tutta la sua statura di uomo e statista, convinto del fine per cui sta lottando.


La sceneggiatura di Tony Kushner, ispirata tratta dal libro di Doris Kearns Goodwin, segue la lunga strada tortuosa che ha portato all'approvazione del XIII emendamento, che avrebbe abolito definitivamente la schiavitù, sul finire della sanguinosa Guerra di Secessione. La personalità di Lincoln si delinea lentamente, nella sua diversità di repubblicano illuminato, più di molti democratici, di cristiano senza ipocrisie, di marito e padre tormentato da una situazione familiare dolorosa, dimostrando tutta la sua eccezionalità, la sua visione. Ciò che invece è del tutto comune, in negativo, è il quadro dell'ambiente politico che lo circonda, a riprova che tutto il mondo è paese e certe regole valgono dalla notte dei tempi. Perché il Congresso è composto dai "soliti noti", a parte quelli convinti ideologicamente del contrario di quanto auspicato da Lincoln. Il Presidente e il suo staff saranno dunque disposti anche ad alcuni spregiudicati escamotage per arrivare al loro scopo, perché la compravendita dei voti, la corruzione "morbida" degli avversari, le promesse e le blandizie fanno parte della natura umana. I "rappresentanti del popolo" sono in maggioranza la solita massa manovrabile, ricattabile, minacciabile, priva di senso dello stato, mirata solo alla cura del proprio orticello. Ma democraticamente è con loro che deve fare i conti un Presidente, perché questa è la democrazia. Il film mette in scena tutto l'estenuante intrecciarsi di dialoghi, conversazioni, interventi, discussioni, trame e manovre, per arrivare alla tesa votazione finale, mentre l'azione della guerra è sempre fuori campo, se non in qualche dettaglio per questo ancora più raccapricciante. Splendida la confezione, con la fotografia dell'ormai mitico Janusz Kaminski che spesso illumina il buio metaforico degli ambienti con fasci di luce che provengono dall'esterno, con pittorici controluce. Sobrie musiche di John Williams, accuratissima ricostruzione di ambienti e costumi. Ovviamente Lincoln è un film di attori (da ricercare per questo nella sua versione in originale). Daniel Day Lewis si cala nel ruolo con straordinaria, totale adesione, in una performance che nell'immaginario sovrapporrà per sempre la sua maschera al volto reale del Presidente. Sally Fied è la tormentata consorte, Joseph Gordon-Levitt il figlio ribelle. Ottimo come sempre David Strathairn nel ruolo del Segretario di Stato, James Spader è un lobbista corruttore e poi mille altre facce note di grandi caratteristi. Menzione per Tommy Lee Jones che si diverte nei panni di un eccentrico congressista, Thaddeus Stevens, rappresentante della Pennsylvania e 'Repubblicano Radicale', fieramente anti-schiavista. Lincoln dunque non racconta la storia passando per il soggiorno o la camera da letto del Presidente, come tanto usa oggidì, ma aggirandosi per il Congresso degli Stati Uniti e per gli uffici dei potenti: due ore e trequarti per un racconto che rifugge ogni spettacolarità, con il quale Spielberg prosegue nel suo discorso educativo, affidare al cinema la memoria di fatti che la scuola non approfondisce o che sono considerati così scontati da non doverne parlare più, come ha già fatto per l'Olocausto e la Seconda Guerra Mondiale. Dopo Amistad e Il colore viola torna sul tema dello schiavismo con un film che rifugge ogni soluzione melodrammatica, mai condiscendente nei confronti del pubblico, un film quasi tecnico che lascerà deluso chi si aspettasse la consueta rispettosa biografia di un personaggio storico. Ma quale fascia di pubblico andrà a vedere un film come questo? Forse proprio solo coloro con i quali la scuola (o la famiglia) avrà saputo fare bene il proprio mestiere. Gli altri, chissà.

Giudizio

  • Tecnico
  • 7/10

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