I colori della passione: L’arte senza tempo, in ogni tempo

Di Giuliana Molteni   |   28 Marzo 2012
I colori della passione: L’arte senza tempo, in ogni tempo

Lech Majewski, artista poliedrico, sceneggiatore di Basquiat e regista di The Garden of Early Delights, sul quadro di Bosch, oltre che di lavori di video arte, conduce lo spettatore in un viaggio dentro al famoso quadro La salita del calvario di Pieter Bruegel il Vecchio, del 1564. Il dipinto riproduce la Passione di Cristo trasportando l'azione nelle Fiandre del 1500, in un periodo in cui il paese era devastato dalla crudele e spietata occupazione spagnola di Filippo II, mostrando come le pene dell'umanità assoggettata a qualunque potere assoluto siano sempre le stesse nei secoli dei secoli. Protagonista della narrazione è il pittore (interpretato da Rutger Hauer), che osserva le vite dei singoli personaggi del suo paese, mentre lentamente si mettono in movimento incontro ai loro destini, andando così a formare loro stessi poco alla volta il grande quadro complessivo che Bruegel alla fine catturerà nella sua tela (che contiene 500 personaggi).

Il pittore, come il regista, sembra richiamare l'attenzione del distratto pubblico sul dettaglio, per invitarlo a fermarsi a guardare davvero, a riflettere su ciò che guarda. In mezzo al brulicare di vite, si snoda il Calvario di Cristo, evento che è al centro della narrazione, ma quasi nascosto, da cercare con lo sguardo. Tutti troveranno il loro posto nell'enorme quadro, che è come la vita, che raffigura una storia di oppressione che non è mai finita. Su tutti domina dall'altro di una rupe scoscesa (spettacolare immagine, nel quadro e nel film) il mulino con la figura allegorica del mugnaio, con i suoi giganteschi ingranaggi, che affondano nelle profondità della rocca mentre girano indifferenti come il Destino (il titolo originale è infatti Il mulino e la croce). Film di pochissimi dialoghi, I colori della Passione vede due altri interpreti noti, Michael York nel ruolo di un nobile amico del pittore, e una donna che simboleggia Maria, la madre di Cristo. Quando vediamo un'opera appesa nell'elegante quiete di un museo, non dobbiamo dimenticarci di quanta vita, passione, sofferenza sia permeata, di quale forte messaggio volesse trasmetterci. I colori della Passione non è un film per tutti, va detto onestamente, ma è un film anomalo per i nostri tempi, e affascinante. Le riprese di Majewski mettono in primo piano gli attori, costruendo poi alle loro spalle a strati successivi il paesaggio che è quello del quadro, senza mai comunicare la sensazione di un banale tableau vivant, immergendolo in una fotografia dai colori e dalle luci che riprendono quelli di Bruegel. Come il tessitore che intreccia i fili della trama di un arazzo a replicare le (si dice) sette prospettive del pittore, come fa il ragno con il delicato e complesso disegno della ragnatela, che ispira il pittore, come la vita nella quale siamo tutti impigliati, che ci conduce per mille sentieri a formare la Storia. Per la sua complessità tecnica I colori della Passione, tratto del romanzo "The Mill and The Cross" del critico d'arte e scrittore Michael Francis Gibson ha richiesto ben tre anni di realizzazione ed è prodotto distribuito coraggiosamente nelle sale cinematografiche da Cecchi Gori. Il film si può anche leggere come un esperimento per dimostrare che oggi un regista può essere considerato un grande artista, per la sua capacità di "affrescare" storie così come un pittore consegnava all'eternità momenti della storia dell'uomo, con vigore ancora maggiore di quanto avrebbe fatto poi la fotografia. Senza dimenticare di suggerire, con l'incredibile bellezza e palese complessità nella composizione delle immagini, quanto la tecnologia della computer grafica non sia un mezzo freddo, ma si possa usare in modo artistico, come se ogni "trucco" aggiunto sia una pennellata su una tela virtuale, per comporre immagini di immortale, viva suggestione visiva.

Giudizio

  • Un film da “guardare”
  • 8/10