Martyrs, presentato in diversi festival in giro per il mondo prima di arrivare – in ritardo – anche nelle sale italiane, è l’esempio perfetto di film “che divide”; il regista francese Pascal Laugier mette in scena una pellicola che non cerca (e non trova) compromessi di sorta, non cavalca le mode e, soprattutto, si rivela originalmente disturbante. Forse troppo per chi (e sono stati tanti) ha attaccato il film dal punto di vista contenutistico definendolo “borioso, presuntuoso e furbescamente scorretto”. Questo perché Laugier costruisce, grazie ad una splendida sceneggiatura di chirurgica precisione, una pellicola “a strati” che, seguendo una sua logica ben precisa, ci trasporta in modo totalmente imprevedibile verso un finale di rara intensità. Però, il suddetto colpo di scena (non permettete a nessuno di svelarvelo!) poggia su basi concrete, su studi e ideologie, in altre parole (tanto per non citare nessuno nome e non dare, così, nessun indizio) non si tratta del frutto di un’intuizione subitanea dello sceneggiatore. Questo “debito storico-filosofico”, per molti recensori è un’onta tale da dequalificare ogni merito tecnico-artistico che il film possa vantare e da definire il regista stesso un “presuntuoso disonesto”. Ebbene, tale conclusione è figlia di quello snobismo critico che porta i soliti noti a definire “capolavoro” un film come The Millionaire (quello sì, furbo e ruffiano a dismisura) e a non riconoscere, invece, come semplicemente “funzionale” l’idea finale di Pascal Laugier, il quale aveva come unico scopo quello di “far funzionare” da un punto di vista emozionale un B Movie dichiarato come Martyrs. Nonostante il suddetto twist non ribalti (come in Il sesto senso) il significato della storia fino ad allora narrata, lo svelamento finale sdogana i precedenti 85 violentissimi, cupi e sanguinosi minuti di film dall’etichetta di “torture porn” che gli si potrebbe, a ragione, affibiare. C’è qualcosa di magico in Martyrs, qualcosa di indefinibile e di profondamente disturbante; un componente alchemico che si trova solo in un film su in milione e che, soprattutto, contagia solo i più fortunati, ovvero “i predestinati”, coloro che sono predisposti a soffrire, credere e dubitare fino alla fine e anche oltre. Per tutti gli altri Martyrs sarà solo un altro torture porn con un finale a sorpresa.
Ma Pascal Laugier (autore anche dell’insipido Saint Ange) non è il solo regista francese ad aver riportato l’horror europeo alla ribalta mondiale. Negli ultimi anni, infatti, oltralpe si è sviluppata una vera e propria corrente di genere che ha dato vita a una serie di ottime pellicole accolte, con calore, dai fan di tutto il mondo. Il primo ad aprire le danze è stato Alexandre Aja (forse il più talentuoso di questa Nouvelle Vague horrorifica) che, con Haute Tension (2003), ha subito fatto parlare di sé: la storia segue le azioni di una coppia di amiche che, recatesi in una casa di campagna, devono affrontare un pericoloso serial killer (l’impagabile Philippe Nahon). Aja mette in scena una pellicola formalmente superba, ricca di pathos e, soprattutto, impreziosita dai fantastici trucchi del nostro Giannetto de Rossi che, mentre qui da noi non lavora più (ca va sans dire), all’estero è ancora uno dei più grandi in circolazione. Il film è subito diventato di culto, nonostante un finale “a sorpresa” che, a voler essere sinceri, non funziona per niente e finisce per “tradire” lo spettatore da diversi punti di vista. Ma, forse, pochi sanno chi è il vero responsabile di questo tradimento: avendo finito i soldi a loro disposizione quando ancora mancava più di un terzo di film da completare, Aja e il fido co-sceneggiatore e amico Gregory Levasseur si sono rivolti alla “corte” di Luc Besson (figura produttiva importantissima per il nuovo cinema di genere francese insieme a Canal Plus) il quale, ha accettato di fornire il denaro mancante ma, purtroppo, ha imposto alla coppia il finale “di stampo schizofrenico”. Nonostante questa imposizione Haute Tension ha permesso, poi, ad Aja di farsi notare all’estero dove un produttore accorto come Wes Craven si è innamorato del suo stile e gli ha affidato, senza remore o timori dovuti alla sua giovane età, una produzione importante come il remake di Le colline hanno gli occhi (film che si è rivelato, poi, addirittura migliore dell’originale). Da allora, Aja si è trasferito in pianta stabile negli Stati Uniti dove ha realizzato un altro remake (Mirrors) e dove sta attualmente lavorando a Piranha 3D, rivisitazione del classico di Joe Dante. Chi scrive ha potuto visionare parte dei props realizzati per il film da quei geni della KNB e vi può assicurare che ci sarà da divertirsi.
Chi, invece, ad Hollywood si è divertito poco è stato il simpatico Xavier Gens il quale, dopo l’esordio con l’episodio Fotografik nella serie horror francese Sable Noir, ha sperimentato tutte la pressione del mondo hollywoodiano mentre realizzava Hitman, adattamento del celebre videogioco. Lavoro su commissione senza molto entusiasmo o possibilità creative, Hitman non è certo il modo migliore per giudicare l’estro di Gens; meglio basarsi su Frontiers (2007), horror estremo che gli entusiasti (pure troppo) critici di Bloody-Disgusting giudicano uno dei migliori film degli ultimi 20 anni. Frontiers, nato dalla passione del regista per il cinema americano degli anni Settanta, si presenta come “la versione francese di Non aprite quella porta” arricchita di elementi morbosamente ed esclusivamente europei. Certo, in patria, il film non è stato propriamente accolto bene: i critici francesi rimproverano a Gens una gestione degli attori troppo “sopra le righe” e una commistione di generi (comic book, grottesco, horror) poco riuscita. Ma, ad onor del vero, va detto che il povero Xavier ha avuto numerosi problemi produttivi e che “questo Frontiers” non è propriamente il film che lui voleva fare. Dopo aver letto ed approvato la sceneggiatura, infatti, i produttori, una volta iniziate le riprese, hanno realizzato che si trattava di un film estremo in cui una famiglia di cannibali nazisti seviziano, torturano e mangiano un gruppo di sbandati in fuga dalle banlieue parigine. Per cui, hanno cominciato a tagliare. Gens si è trovato, così a dover combattere letteralmente per il suo lavoro e ha finto col dover cedere alle richieste più pressanti (via le svastiche e le divise naziste – non si sa perché poi… - e via la cena cannibale finale che, in sceneggiatura, funzionava così bene) della produzione senza, tuttavia, mollare definitivamente. Infatti, ricorrendo ad un espediente “anni Settanta”, il regista francese ha chiesto l’aiuto della sua troupe che, sacrificandosi, ha lavorato gratis, la notte, e di nascosto dai produttori hanno girato tutte le scene splatter che poi si vedono nel film. Frontiers non è un capolavoro, ma è fatto con passione e contiene molto energia, sufficiente a divertire e a stimolare la curiosità…ovviamente se si è disposti a lasciarsi andare.
Dove l’energia non manca è anche in A l’Intérieur (2007) film d’esordio di Alexandre Bustillo e Julien Maury, critici di Mad Movies passati dietro alla macchina da presa. Il film, tra i più gore della storia, racconta le vicende di una giovane ragazza incinta (Alysson Paradis) che, la notte della vigilia di Natale, riceve la visita di una strana donna (Beatrice Dalle) con un unico scopo: strapparle il feto dalla pancia. Bustillo e Maury rendono omaggio a Carpenter, Argento e (come tutti i registi di cui stiamo parlando) alla grande stagione americana del “Body Horror” con un film a tratti insostenibile e di grande impatto emotivo. Sicuramente una delle cose più interessanti viste negli ultimi anni. I due registi francesi, dopo questo esordio shock, hanno ricevuto diverse proposte da parte degli americani; i Weinstein (che hanno comprato il film per la distribuzione americana) infatti gli hanno subito proposto di realizzare il remake di Hellraiser ma, dopo la realizzazione della sceneggiatura e un incontro (positivo) con Clive Barker, il progetto è sfumato. Sei mesi dopo ecco che i fratelli Miramax sono tornati alla carica proponendo al duo francese di scrivere e dirigere il sequel di Halloween; peccato che dopo qualche mese ( e una sceneggiatura completata) Rob Zombie abbia deciso di “tornare in pista”. Ce ne sarebbe da demoralizzare chiunque! Ma Bustillo e Maury non hanno mollato e stanno ora lavorando ad un nuovo progetto da realizzare in Francia in modo indipendente: dovrebbe intitolarsi Neige (La neve) e la produzione è attesa per quest’anno.
Chi è riuscito a concretizzare i suoi progetti hollywoodiani è stato, invece, Eric Vallette il quale, dopo l’interessante Malefique (2002) è arrivo a dirigere il recente (e non esaltante) remake americano di One Missed Call (2008). Però, si sa, i film su commissione non si possono sempre rifiutare in nome “dell’arte”; in questo modo Vallette ha appena completato un altro film intitolato Hybrid che, pare, sia un progetto molto più personale. L’ultima novità in fatto di horror francese (ne abbiamo già parlato in occasione del report dal festival di Gerardmer) è Mutants, fanta-horror diretto da David Morlet che, pur con un budget moderato, non ha nulla a che invidiare alle produzioni americane. Ora si aspetta solo che esca il tanto atteso e anticipato (troppo, forse) La Horde, storia di un’apocalittica battaglia tra zombi, gangster e poliziotti che ha luogo durante la fine del mondo; dietro la macchina da presa, ancora una volta, due giovani come Yannick Dahan e Benjamin Rocher. Potremo concludere questa carrellata sul New Horror francese facendo un triste paragone con l’Italia e sui giovani registi italiani, spiegando come mai da noi non succede e, forse, non succederà mai più una cosa simile. Ma non lo facciamo.