Tom è un avido accumulatore di soldi, detentore di un potere che non è mai sufficiente a soddisfare le sue ambizioni egocentriche. Distratto genitore, finisce per caso a cercare un regalo per la sua tenera e adorante figlioletta, che da tempo chiede non doni miliardari ma solo un misero gattino, vivo e non di peluche. Tom viene condotto dal destino in un misterioso negozietto, dove uno strambo proprietario (il sempre adorato Christopher Walken, che si definisce un Cat-Whisper) si mostra fin troppo informato su di lui, rifilandogli un bel persiano che manifesta affinità con l’irascibile riccastro. Che poco dopo, in seguito ad un incidente di cui è in fondo è responsabile, si ritrova un corpo in coma, ma la mente trasferita nel corpo del gattone. Portato a casa, si dimostra presto non l’adorabile micetto che la figlia aspettava, ma un animale irascibile e aggressivo esattamente come la personalità che lo abita, senza perdere un grammo del suo cinismo. Ovvio che sotto quelle spoglie Tom scoprirà molte cose che aveva sotto il naso, ma che non vedeva, travolto dalla sua ambizione. Mentre il consiglio di amministrazione fa gli scongiuri perché Tom non si risvegli più, l’uomo comprenderà quali sono i veri affetti nella sua vita. Almeno da gatto gli faranno effetto, da vedere in seguito. Non originale ma brillante, ricco di battutine sparse e situazioni spassose, Una vita da gatto (Nine Lives in originale) è una commedia senza impegno, adatta a grandi e piccini, che rideranno delle assurde disavventure dell’irascibile gatto/tycoon, che è “interpretato” da un gatto reso più espressivo dalla CG che lo sostituisce in toto nei momenti più paradossali, con un’animazione alla Garfield. Gli adulti apprezzeranno un cast ben scelto, con il solito sornione Kevin Spacey (peccato sentirlo doppiato) che nel fare l’uomo di potere carogna ormai ci sguazza. Spesso gli umani per redimersi e/o capire cosa esattamente vogliono dalla vita, almeno nei film, devono diventare qualcun altro, altri umani talvolta anche del sesso opposto, o da ricchi poveri o viceversa, oppure se stessi più giovani, scambiarsi ruoli con i genitori, qualche volta diventando anche degli animali. Qui senza eccessivi sentimentalismi o buonismi vari, si racconta una surreale favoletta, che ricorda a tratti certi film Disney degli anni ’60, i tempi d’oro di Dean Jones. Produce la EuropaCorp di Luc Besson, dirige Barry Sonnenfeld (La Famiglia Adams, Get Shorty, i tre Men in Black), che certo in passato ha fatto di meglio.