Io, Daniel Blake: Recensione

Di   |   21 Ottobre 2016
Io, Daniel Blake: Recensione

 In questo mondo libero

Il Daniel Blake del titolo, che vive a Newcastle, vedovo sessantenne con linda casetta di proprietà, arredata con decoro e amore, si trova stritolato in un loop kafkiano: carpentiere, ha avuto un infarto mentre lavorava su un ponteggio e medico e fisioterapista gli negano l’autorizzazione per tornare al lavoro. Quindi non può usufruire del sussidio di disoccupazione, perché non è in grado di sostenere un lavoro, ma non può nemmeno godere del sussidio per malattia, perché nonostante i certificati, una burocrate zelante (non medico) non gli approva la richiesta.


Mentre si dibatte sempre più stancamente nella rete di un sistema fatto apposta per rimandare, procrastinare, esaurire, conosce una ragazza single con due figli anche lei alla disperazione, di cui il Sistema si è occupato in modo asettico, ma non risolutivo anzi, abbandonandola poi a se stessa. I due formano per un po’ una piccola famiglia, dandosi l’un l’altra quello che il Sistema non contempla, supporto morale, affettivo oltre che materiale, all’interno delle scarsissime possibilità di entrambi. Ma alla lunga non si regge, oggi davvero da soli si muore. E’ comodo dare del vecchio arnese filo-comunista a Ken Loach, è facile per le nuove generazioni sbuffare infastidite alla presenza di ogni sua nuova opera che tratta antiquati temi, con quella scrollata di spalle di chi è passato oltre le vecchie denominazioni, oltre le vecchie categorie, proletari, operai, padroni, basta che noia. Oggi è tutto più fluido, più “liquido” si usa dire. Sembra che i risultati per ora non siano quelli auspicati dai guru dei cambiamenti “all’americana”, quelli fluidissimi, liquidissimi, per cui oggi hai un posto (magari mal pagato) e domani chissà e nel frattempo arrangiati, galleggia nel liquido (dove si affonda e sia annega prima o poi). E basta assistenzialismo, datti da fare ed escine. Sopravvive ancora un’ombra di stato sociale, pro forma, ma sembra strutturato apposta per creare ostacoli, aumentare le difficoltà, scoraggiare anche chi ne ha davvero bisogno. Perché se ne hai bisogno, è sottinteso, qualcosa avrai pur sbagliato, in fondo insomma è colpa tua. E allora che vuoi, anche i tappeti rossi? In fondo non ti vergogni di essere un parassita? Così queste storie, o varianti ambientate in tempi e luoghi diversi, ci racconta da anni Ken Loach, perché non solo le cose non sono cambiate, ma sono peggiorate e il peggioramento è stato sbattuto in faccia alla plebe con alterigia, con arroganza, spacciandolo per necessario ai bilanci di stati-azienda e soprattutto come “morale” per sanare gli abusi di anni di vacche grasse. Anche se alla fine incombe l’effetto Victor Hugo (quello dei Miserabili) o Dickens, per la gragnuola di piccole e grandi sfortune che si abbattono sui poveracci che sono tutti irrealmente buoni, brave persone che cercano di darsi una mano l’un l’altro (a guardarci in giro ne dubitiamo fortemente), la rappresentazione del Sistema è raggelante. La sceneggiatura è del fidato Paul Laverty e certifica l’accuratezza di quanto messo in scena. Si tratta di un’organizzazione di ben congegnata, burocratica perfidia, con un sadico giusto per i regolamenti stile Comma 22, per la crudeltà nell’escludere quelli considerati vecchi arnesi (anche loro), con l’obbligo di espletare ogni pratica online per vecchi che mai hanno messo mano su un computer in vita loro. E istituendo uffici e corsi e tutta un’organizzazione complessa e inutile, che allo Stato costa, che fa ricchi quelli che la gestiscono, invece di rimettere quei soldi in circolo per chi ne ha davvero bisogno. Non tutti sono millantatori, imbroglioni, sfruttatori del sistema, se in passato si è largheggiato fra quei tempi e oggi ci sarà pure una via di mezzo. Come dice alla fine Daniel, che paga pure la Bedroom Tax, “io sono un cittadino ed esigo rispetto”. I, Daniel Blake, appunto. Sobri attori, sobria messa in scena, si esce un po’ provati, meditando. E ringraziando iddio che da noi ancora vada un po’ meglio. Ma fino a quando? Perché dei giovani infastiditi di cui parlavamo prima, nessuno sembra capace di lottare per riconquistare i diritti tolti (da noi dal dopo guerra agli anni ’60 si stava più o meno così, è dopo che le cose erano cambiate e non certo come grazioso regalo). Che dire, ci penseranno se e quando capiterà di finire come Daniel Blake, cosa che in fondo auguriamo loro con cordialità.

 

 

Giudizio

  • Istruttivo, con sentimento
  • 7/10

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