Istanbul e il museo dell’innocenza: Recensione

Di   |   06 Giugno 2016
Istanbul e il museo dell’innocenza: Recensione

 

La storia nelle piccole cose

Cosa saremmo noi senza i nostri ricordi? I musei sono luoghi in cui gli uomini raccolgono le loro memorie, i ricordi del passato,  sotto forma di opere d’arte. Ma anche semplicemente oggetti, foto, scritti, a mantenere vivo un passato che non va dimenticato. A Istanbul il Museo dell’innocenza è costruito su un libro, scritto perché ci si potesse costruire un museo.


Autore dell’operazione è lo scrittore premio Nobel Orhan Pamuk e la storia del libro e del museo ci viene oggi raccontata dal regista Grant Gee, con una raffinata esposizione ricca di colti rimandi. Ci viene narrata la storia dell’amore di Kemal nei confronti della più giovane Füsun, amore nato nel 1974 e proseguito fino al 1985. Più grande di 13 anni, Kemal, pur fidanzato, quando conosce Füsun si innamora come mai nella sua vita. Ma dopo un anno di passione travolgente, Füsun lo lascia perché nel frattempo Kemal non ha interrotto il suo fidanzamento con Sibel. Dopo un anno di tormenti, Kemal torna a cercare la ragazza presso la sua famiglia, dove la ritrova a sua volta fidanzata. Iniziano così un lungo periodo di frequentazione “sociale” che dopo quasi dieci anni potrebbe finalmente sfociare nella coronazione del sogno a lungo sognato da Kemal. Ma il destino decide sempre per conto suo. La narrazione non si ferma all’esibizione degli oggetti raccolti nel museo, un vero sacrario innalzato all’amore per Füsun (l’orecchino perduto, mozziconi sporchi del suo rossetto, i mille piccoli oggetti che le appartenevano e molti altri con un legame meno immediato con la storia) ma si arricchisce con le piccole storie quotidiane di abitanti della notte di Istanbul (un tassista, un rigattiere, un marinaio e anche una celebre attrice, oggi anziana ma sempre bellissima, Türkan Şoray), traendo spunto per alcune riflessioni sulla città, tanto amata da Pamuk e dai suoi personaggi, e sulla sua deriva politica. La città viene mostrata totalmente al di fuori delle consuete immagini da giro turistico. Pamuk, pervaso dal suo “huzun” (la malinconia turca) si aggira in una Istanbul di stradine e vicoli fatti di piccole case malmesse, di negozietti, di cadenti costruzioni del dopo guerra, percorsa da cani randagi, mentre si fa sempre più labile il confine fra i ricordi reali dello scrittore e le sue invenzioni. Ma sono le strade vere, vissute, quelle lungo le quali si sono svolte tante vicende (vengono in mente le parole della canzone di Gaber “Le strade di notte mi sembrano più grandi ed anche un poco più tristi, è perché non c'è in giro nessuno, anche i miei pensieri di notte mi sembrano più grandi e forse un poco più tristi”). Perché ogni città per ciascuno di noi è un museo a cielo aperto, che raccoglie il nostro passato, ospita il presente e su cui aleggia il nostro futuro. E con grande delicatezza e poesia questo film riesce a ricordarcelo.

 

 

Giudizio

  • La storia di un ricordo
  • 7/10