The Great Wall: Recensione

Di   |   24 Febbraio 2017
 The Great Wall: Recensione

 I muri e gli alieni

A quale scopo era stata eretta, dal 215 a. C. in poi, la Grande Muraglia, lunga più di 8000 chilometri, alta 16 metri e profonda 8, con 25mila torrette di guardia, a segnare il bordo settentrionale del regno della Cina? A tenere lontani gli invasori che volevano distruggere la loro civiltà, a respingere gli aborriti stranieri che potevano ledere l’equilibrio del paese?


Questo storicamente parlando. Zhang Yimou, invece, la butta sulla favola, dire “leggenda” ci pare eccessivo, potremmo dire anche sul videogioco, e immagina che la muraglia servisse a tenere fuori dal paese orde di milioni di orridissimi mostri, al comando di una bestia Regina, un mix fra rettili e altri belve predatrici, con fameliche fauci dentatissime, degni di Resident Evil. Il film è per il regista il suo primo in inglese, una coproduzione USA/Cina da 135 milioni di dollari. Il che spiega molte cose, compresa la presenza di qualche star occidentale il cui estratto conto ringrazia, e lancia un interrogativo: ma quanti soldi hanno da buttare in Cina? Anche se alla fine un prodotto come questo sta riscuotendo successo in quel mercato. Ma non siamo qui per parlare di investimenti e questioni economiche, di protezionismo politico che regola le quote di film stranieri distribuiti in Cina, rendendo le masse fameliche di blockbuster. Siamo qui per parlare di un film. Ci troviamo in un imprecisato medioevo, due mercenari occidentali (Damon e Pascal) in cerca della misteriosa “polvere nera” inventata dai cinesi (la polvere da sparo), attaccati da banditi e poi da mostri, finiscono prigionieri di una milizia speciale, L’Ordine senza nome, che dall’alto della Muraglia da 60 anni difende il paese dai mostri (che hanno pure origine aliena), con un pittoresco e addestratissimo esercito che fa ricorso anche a lanterne come mongolfiere e guerrieri in bungee jumping. Là dovranno fare i conti con la loro natura occidentalmente predatoria, nel confronto contro i nobili valori in nome dei quali sono disposti a immolarsi gli eroici cinesi. The Great Wall è un polpettone che non riesce ad essere epico come vorrebbe, come invece certe favole/leggende viste altre volte sono ben riuscite, con personaggi che non trasmettono nulla, senza pathos, senza passione, manca pure una decente tensione romantica fra Matt e la generalessa cinese, molto chic nella sua armatura azzurra. Vane le battutine che si palleggiano lui e Pascal. Ma la colpa è anche di Matt Damon, che proprio non ha la faccia per un film così e, come se lo sapesse, fa il suo minimo sindacale, mettendo via fieno in cascina, magari pensando al futuro dei suoi figli. Ci sta simpatico, non riusciamo ad arrabbiarci troppo. Duole invece vedere la parabola di un regista come Zhang Yimou. Senza fare i nostalgici del suo primo periodo, anche dopo Lanterne rosse e Vivere ci ha dato film epici e poetici, spettacolari e romantici come Hero o La foresta dei pugnali volanti o melodrammi rifulgenti come La città proibita. Qui la sua regia è al servizio di una quantità esagerata di computer graphic, certo realizzata dai top del settore come ILM o Weta, ma dopo 10 minuti dell’orda brulicante di mostri all’assalto già non se ne può più, perché manca il minimo interesse per gli sviluppi della (peraltro) prevedibile vicenda. E pure le finte carrellate lungo la spettacolare muraglia, vistosamente artificiali, lasciano freddissimi. In confronto il pur terribile Dragon Blade era Shakespeare.

 

 

Giudizio

  • Noia
  • 4/10

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