Roma oggi, più che semplice suburra, ci sembra diventata una vera e propria Babilonia, la Grande Meretrice di biblica memoria tout court. In mezzo alla sua grande bellezza, a farne strame, si agitano frenetici i rappresentanti di politica e malaffare, ministri, alti prelati e malavita di vario livello, fra grandi crimini e delinquenza spicciola, corruzione e intimidazione, sfoggio di "eleganti" incontri ed esibizione volgare del proprio potere. Soprattutto si scontrano due concezioni del "malvivere": gli "anziani" che detengono il potere, ben decisi a continuare a tramare e a godere dei loro privilegi finché morte non li separi, ma con modi formalmente professionali, comportamenti ineccepibili, regole precise all'interno della quali muoversi con apparente correttezza. E le nuove leve, che incalzano selvaggiamente, come mute di cani rabbiosi, infischiandosene di tutto ciò che invece conta per i predecessori, esibendo con sfrontatezza la faccia più lurida, la violenza più plateale. Più sincere, in fondo, perché tanto alla fine li accomuna la stessa pulsione, l'avidità più sfrenata, l'accumulo di potere e soldi. In Suburra, film scritto dalla Premiata Ditta Stefano Rulli e Sandro Petraglia a partire dal romanzo di Giancarlo De Cataldo e Carlo Bonini, romanzo che ha anticipato di un anno lo scoppio dello scandalo di Mafia Capitale, si racconta con un countdown una prossima Apocalisse, nel novembre del 2011. Sta per essere approvato un disegno di legge atto a realizzare un progetto che trasformerebbe Ostia in una specie di Las Vegas in riva al mare e tutti ci vogliono mettere le mani. Il destino fa collidere alcuni elementi "storici" del malaffare: un politico potente e mai sazio (Pierfrancesco Favino), vile e immorale, un ex esponente della Banda della Magliana (Claudio Amendola), rispettato tramite con le Grandi famiglie del Sud, una potente Famiglia di zingari (col senno di poi, stile Casamonica) e alcuni giovani delinquenti di sfrenata violenza, che sgomitano per conquistare il loro posto a tavola. Insieme restano impigliati in una serie di eventi, come si fosse aperta una fessura fra due dimensioni che non avrebbero dovuto mischiarsi. A far crollare il castello accuratamente costruito dell'illegalità ad alto livello, che vede coinvolto anche un arcivescovo, saranno semplicemente degli eventi casuali e degli elementi minori, una morte accidentale, una giovane escort, un PR di feste sorrentiniane, una giovane drogata perdutamente innamorata di un aspirante boss. Intanto il papa, al chiuso nelle sue stanze, sta preparando le sue dimissioni, la sua resa, e il Governo viene sciolto. E su Roma si rovescia un diluvio. Fosse mai quello universale. Non si creda che il crollo di uno dei tanti castelli di illegalità preluda a una qualche salvezza. Morto un papa se ne fa un altro. Tutto il cast dà il meglio di sé: i due splendidi protagonisti maturi, Pierfrancesco Favino e Claudio Amendola, raramente visti a questi livelli; Alessandro Borghi, cane sciolto spietato e ambizioso, che dopo Non essere cattivo conferma di essere un'interessante promessa; Elio Germano il vile e untuoso PR, lacché di potenti e delinquenti; le due belle e perdute Greta Scarano e Giulia Elettra Gorietti. Ogni giorno la cronaca ci scodella situazioni che sembrano cinematografiche esagerazioni, perché siamo un paese dove ormai la realtà da tempo supera abbondantemente la finzione. Sergio Sollima dispiega il suo mestiere con l'estetica che conosciamo dalle serie Romanzo criminale e Gomorra e dal film ACAB, intrecciando quelli che sono in fondo spezzoni di realtà con i finti patemi d'animo dei personaggi. Nei quali però si possono riconoscere i reali protagonisti di fatti similari, coinvolti in eventi che esposti tutti in fila entro le due ore e dieci del film possono sembrare eccessivi, ma nella loro totalità, spalmati su qualche anno e anche solo più mesi, si sono verificati tutti. In questo suo film, Sollima espone con fredda efficacia l'eccesso più truculento, alternando splendidi, suggestivi esterni a interni che contribuiscono al disegno del personaggio. Solo qua e là il film eccede in qualche faciloneria sul versante più squisitamente thriller, e in un paio di sequenze più improbabili nella parte finale (quella corsa del ministro dietro l'auto presidenziale), ma nella totalità della materia trattata sono perdonabili. Sollima firma con autorevolezza un ottimo film di genere, riuscendo a illustrare un mondo mostruoso senza i soliti moralismi d'accatto, con un indubbio senso della spettacolarità, uno stringato montaggio, la bella fotografia di Paolo Carnera, l'evocativa, incombente colonna sonora con pezzi degli M83 (anche se già usati in The Gambler), aggiungendo una memorabile sparatoria in un centro commerciale. Diventerà una serie tv per Netflix.