Gloria alla morte. Questa volta non c'è più una Sposa imbrattata di sangue tornata dal coma per avere la sua vendetta, ma una bastarda senza gloria di rosso vestita, con sul viso calato un velo di pizzo nero, consapevole della sua morte e votata al sacrificio per vendicare un antico massacro che è rimasto scolpito nel suo sguardo, in occhi che non sono più quelli di Uma Thurman, ma quelli della francese Melanie Laurent.
Quentin Tarantino torna sul grande schermo con Bastardi senza gloria in una versione assolutamente inedita: più elegiaco, più riflessivo (non aspettatevi un film d'azione), a tratti quasi decadente e ancor più teatrale negli atti che scandiscono il suo film e che spesso sono ambientati in un unico luogo, all'interno del quale prendono vita interminabili e "ingloriosi" dialoghi. Ma forse il bello di questo nuovo film del regista di Pulp Fiction e Kill Bill è proprio questo, l'assenza di gloria, la mancanza di epicità che contraddistingue tutti gli (anti-)eroi, dal tenente Aldo Raine di Brad Pitt (che si fa persino beffa del modello del fascinoso e sprezzante "american hero" un po' Marlon Brando, un po' John Wayne), alla Soshanna Dreyfus di Melanie Laurent, fino alla Bridget von Hammersmark di Diane Kruger, una Cenerentola moderna e sfacciata che tutto vorrebbe meno che qualcuno trovasse la sua scarpetta perduta.
Tarantino torna al racconto corale, senza elevare alcun personaggio al di sopra di altri (Pitt non ha più spazio del resto deglii attori, è forse solo il più famoso) e soprattutto senza mitizzare la propria storia, interessandosi invece a celebrare il potere del suo tanto amato cinema, in grado col suo fuoco persino di riscrivere la storia, di uccidere Hitler prima del tempo e di estirpare il male assoluto, se necessario anche a costo della propria stessa distruzione (sebbene sottoforma di inquietante fantasma continui poi per sempre a tormentare le coscienze di ognuno).
Perché d'altronde a partire dalle prime iniziali note del Per Elisa di Beethoven (mascherato sottoforma di trillo western in un primo quarto d'ora da antologia), sarà proprio una funerea idea di sacrificio ad attraversare il film, di una morte che come nei migliori western percepiamo sempre come prossima a giungere e di uomini votati al martirio pur di ottenere i loro scopi. Il tutto naturalmente viene scandito in maniera molto poco seriosa in perfetto stile Tarantino. Il regista continua a giocare con la macchina da presa e con i generi, mescola commedia e tragedia e si cala nel film attraverso il personaggio di Aldo Raine (un Brad Pitt da Oscar il cui accento favoloso verrà buttato via anche dal miglior doppiaggio), bastardo per eccellenza super partes, giustiziere venuto chissà da quando, chissà da dove e chissà perché a mettere il proprio marchio indelebile sul film e sulla Storia.
A lui verrà affidato il compito di realizzare il "capolavoro", dopo due ore e mezza in cui il regista avrà giocato con i destini umani e quelli di tutti gli spettatori. È sempre lui, Quentin, il bastardo (secondo molti ancora senza la giusta gloria) che in fondo più di tutti si diverte alle nostre spalle.
Quentin Tarantino e il suo "Kill Hitler"... il trionfo del cinema contro i "nein, nein, nein, nein"!
|
|