Di Paolo Zelati   |   25 Agosto 2006
Intervista ad Alexandre Aja

Il tuo film è, secondo me, uno dei pochi tentativi riusciti di remake intelligenti ed aggiornati al contesto contemporaneo; quindi andiamo subito al punto parlando del tuo lavoro sul sottotesto politico di “Le colline hanno gli occhi”.
E’ stato un lavoro con una genesi interessante. Dopo aver visto Alta Tensione, Wes Craven ha convocato me e Greg Levasseur e ci ha chiesto se “per caso” conoscevamo Le colline hanno gli occhi dato che aveva intenzione di farne un remake, visto il grande successo ottenuto da quello di Non aprite quella porta (che a mio parere fa schifo). Però Wes lo avrebbe fatto solo se riuscivamo a trovare un’idea talmente forte da giustificare una versione di quella storia nel 2006. Così, alcuni giorni dopo, noi tornammo da lui con l’idea degli esperimenti nucleari, aspetto che mancava nel film del 1977, a Wes piacque molto e così cominciammo a scrivere la sceneggiatura. Noi siamo quelli della generazione cresciuta con davanti agli occhi i tremendi effetti di Chernobyl, una paura del nucleare diversa da quella degli anni Cinquanta: dover pagare le conseguenze dei nostri errori. Quindi, una volta trovata questa chiave di lettura, tutto il resto è venuto abbastanza di conseguenza: l’aspetto fisico dei freaks, la loro storia e il villaggio in cui è ambientata la fine. E nello stesso tempo, anche l’aspetto politico del film si palesava sempre di più mentre scrivevamo la sceneggiatura: ci siamo subito resi conto che la storia parlava soprattutto di come l’America avesse creato i loro mostri e poi ne avesse perso il controllo. Inoltre, nonostante la vicenda parlasse della tragedia nucleare del New Mexico, l’ambientazione riportava chiari echi di scenari di guerra altrettanto gravi ma molto più contemporanei. Io penso che l’aspetto politico del film sia riuscito proprio perché non è stato deciso a tavolino, ma è cresciuto quasi da solo insieme alla sceneggiatura; poi abbiamo sviluppato consapevolmente alcune metafore che puoi vedere nel film come l’uso della bandiera e dell’inno americano, il dualismo all’interno della famiglia tra il democratico e il repubblicano. Abbiamo combattuto per mantenere un sottotesto politico di questo tipo in un film che, comunque, mira soprattutto a divertire e spaventare il pubblico. Il nostro scopo dichiarato è sempre stato quello di recuperare lo spirito degli anni Settanta e di film come Cane di paglia, Un tranquillo Week-end di paura e Non aprite quella porta, tutti quanti film molto politici. Io credo anche che se avessimo fatto questo film prima dell’11 settembre non sarebbe stato lo stesso film proprio perché dopo quella data la situazione politica internazionale è diventata simile a quella degli anni Settanta quando Wes realizzò il film originale.

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Di Paolo Zelati   |   25 Agosto 2006

Tante volte da queste pagine ci siamo scagliati contro l’inarrestabile invasione dei remake hollywoodiani che, con il loro “rischio calcolato” e la loro sacrilega invadenza si ergono a simbolo di una grave crisi produttiva e creativa che attanaglia, ormai da tempo, l’industria dello spettacolo a stelle e strisce. Questa volta non lo faremo; ma non perché non siamo più convinti delle nostre idee a riguardo, ma perché, come spesso accade, esistono delle eccezioni che confermano la regola: Le colline hanno gli occhi è proprio una di queste incoraggianti eccezioni.

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