Cogan - Killing Them Softly: Recensione

Di   |   17 Ottobre 2012
Cogan - Killing Them Softly: Recensione

I killer nella New Economy
L'America non è una nazione, è un business. E non c'è popolo, non c'è comunità, non ci sono amici, tutti sono soli e l'unica cosa a valere sono i soldi. Questo è il pensiero di Cogan (Pitt), "regolatore" di conti, un Mr Wolf che viene chiamato per sistemare uno sgarbo nella più squallida periferia di New Orleans. Due balordi sono stati ingaggiati da un delinquente da quattro soldi, che arrotonda con illeciti vari gli incassi della sua lavanderia, e hanno rapinato una bisca, il cui proprietario è uno già compromesso da uno sgarro passato. I proprietari del business, che resteranno sempre nell'ombra, definiti solo "loro", incaricano un grigio avvocato (Jenkins) di organizzare l'adeguata punizione. Lui ingaggia Cogan, un sobrio professionista, con la capacità di eseguire ordini che non condivide, di adeguarsi a strategie per lui sbagliate. Nello svolgimento della sua attività, le persone non esistono, sono solo pedine da spostare per ottenere il risultato migliore con il minor rischio possibile, evitando le complicazioni, comminando il castigo pattuito senza infliggere inutili sofferenze.


Nessun glamour, nessun killer gelido ed elegante, nessun boss raffinato, nemmeno importa poi recuperare i soldi, importa mantenere la faccia, perché nessun affronto può restare impunito. Il film, che vede la seconda collaborazione fra Brad Pitt e il regista Andrew Dominik, dopo The Assassination of Jesse James, è un tipico film indipendente americano, che porta ambiente e personaggi in un'atmosfera minimalista ma inevitabilmente "alla Tarantino", con personaggi che sembrano normali professionisti e come tali discorrono di argomenti normali, nei loro incontri dai lunghi dialoghi, in mezzo ai quali avvengono le esplosioni di violenza più spietata e meno compiaciuta possibile. Come se i crudeli e folli assassini di Pulp Fiction fossero resi più opachi dalla depressione del grande Sud, senza però perdere né in verbosità né in efferatezza, mentre gli sciagurati delinquenti rurali di Fargo si trovano davanti un vero killer di città. Ottimo cast, dai più noti alle facce meno conosciute. Si spera che certa critica la smetta di dire che Pitt è bello ma non sa recitare. Sempre sublimi, anche se in piccola parti, Richard Jenkins per non parlare di James Gandolfini. Dal cast dei Soprano arriva anche il lavandaio Vincent Curatola. Ray Liotta riesce sempre bene nei ruoli da malavitoso. Eccezionali i due miserrimi balordi segnati da inevitabile destino, il patetico fallito Frankie (Scoot McNairy) e il suonato Russell (Ben Mendelsohn) uno che rapisce cani per rivenderli. Il film è tratto da Cogan's Trade, un romanzo del 1974 scritto dall'ex procuratore distrettuale di Boston, George V. Higgins, che ha visto un altro suo libro diventare un interessante film, Gli amici di Eddie Coyle. Per attualizzare, Dominik, che sperimenta il suo sguardo particolare dopo che sul western anche sul gangster movie, cerca di far passare un discorso politico-sociale più ampio, pur senza riuscirci completamente, facendo scorrere in sottofondo la campagna elettorale di Obama contro Bush e la massa di discorsi sullo stato dell'economia, con un monologo di Cogan contro il Padre Fondatore Thomas Jefferson. Dice il regista: "i film sulla criminalità sono fondamentali per il capitalismo, perché mostrano il funzionamento della teoria capitalista nella sua forma base". Il paragone continuo è infatti fra il modus operandi di banche e company e le organizzazioni criminali, che si muovono in base alle stesse regole seguendo gli stessi principi. Come se i rappresentanti di Occupy Wall Street nella loro pretesa di riprendersi dalle multinazionali e dalle banche quanto ingiustamente accaparrato, in un intollerabile rigurgito di indipendenza nei confronti delle suddette organizzazioni, si meritassero di ricevere la visita di un Cogan. Parallelo audace, anche spassoso (Monti come Cogan per le masse di lavoratori italiani?). Resta la lettura più tarantiniana, più facile, con l'ennesima dimostrazione che "homo homini lupus": senza la folle spettacolarità dei narcotrafficanti, senza l'organizzazione para-militare della mafia, senza tradimenti laceranti o infiltrati romanzeschi, così, come impiegati buoni o cattivi di una company, ciascuno riceverà un bonus o sarà licenziato.

Giudizio

  • La normalità del male
  • 7/10