The Way Back: Recensione

Di   |   06 Luglio 2012
The Way Back: Recensione

 

Un durissimo viaggio di formazione

Il film si ispira a una storia vera. Tratto dal libro di Slavomir Rawicz "Tra noi e la libertà" (The Long Walk), pubblicato nel 1956, segue l'odissea del protagonista che, internato in un gulag siberiano nel 1939, fugge dopo due anni con sei compagni. Insieme a loro attraversa la transiberiana dirigendosi verso il Tibet. Ma per sommovimenti politici sopraggiunti la meta iniziale si sposta sempre più a sud, sempre più lontano. Dopo aver percorso più di 6000 chilometri, arriveranno decimati in India, attraversando addirittura l'Himalaya. La marcia sarà terribile, dalla glaciale Siberia al deserto del Gobi, dalla tundra alle vette montagnose, sempre sottoalimentati e con scarsità o assenza d'acqua, senza riparo sotto neve, pioggia, sole.

Il gruppetto procede come in una lenta processione, durante la quale chi resta indietro è finito, mentre vengono a confronto le diverse tipologie umane, in una comunione forzata di personalità opposte accumunate dal desiderio di fuga (nel gulag si mischiavano prigionieri politici, spesso innocenti rispetto a ogni accusa, e incalliti delinquenti comuni). Mentre mutano i paesaggi, mutano anche gli animi degli sciagurati fuggiaschi, che dal "mors tua vita mea" sfumano in un ritorno all'umanità che rappresenta la vittoria sulla mentalità degli aguzzini. Perché sappiamo che il male vince quando la vittima vi si adegua, anche solo per difesa. L'avventura ha dell'incredibile, ma i protagonisti l'hanno affrontata e sono arrivati dove mai avrebbero sperato, con la forza della loro disperazione, spinti da diversi moventi, diversi sogni, diverse rivalse. Solo del protagonista sapremo che, anche se con un ritardo di cinquant'anni, la sua "missione" si è compiuta. Prodotto indipendente finanziato anche da National Geographic, che a lungo non ha trovato distribuzione, il film, costato 30 milioni di dollari, è stato girato in Bulgaria, Marocco ed India. Sui titoli di coda scorre un riassunto un po' troppo veloce (e semplicistico) sull'evoluzione del "comunismo" dai tempi della narrazione a oggi. Peter Weir, dopo sette anni di inattività mette in scena una storia dove ancora una volta la forza del singolo è posta al centro della narrazione, nel rapporto fra l'essere umano e la Natura, sempre indifferente e spietata soprattutto nell'immensità dei panorami di quelle zone. Una storia che se non fosse vera sarebbe incredibile e anche melensa, per quell'esaltazione dei valori dell'amicizia, solidarietà, e per l'incrollabile fede nel risarcimento che il Destino deve, ma proprio deve, concedere certe volte. E chi non ce la fa almeno muore libero.

Giudizio

  • Marcia o muori
  • 7/10

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