Take Shelter: Recensione
Di Giuliana Molteni | 09 Luglio 2012Io ti proteggerò
Quanta pressione può sopportare lo spirito di un uomo prima di spezzarsi, a quante minacce può fare fronte prima di arrendersi? O prima di ribellarsi? Curtis ha molte responsabilità, la bella e dolce moglie, l'amatissima figlioletta sordomuta, la confortevole villetta da pagare alla banca, un lavoro duro e sempre a rischio. Mentre trascina con cristiana rassegnazione il suo fardello quotidiano, comincia ad avere incubi terribili, visioni di bibliche sciagure, di disastri immanenti. Vortici di tornado che si avvitano all'orizzonte, cumuli di nubi in cui saettano grappoli di fulmini abbaglianti, mentre piove una sostanza scura e vischiosa e stormi impazziti di neri uccelli disegnano fulminee volute nei cieli.
E inquietanti figure si intravedono nel riflesso delle sue finestre. Uno di quei fulmini colpirà, uno di quei tornado risucchierà di sicuro lui e la sua fragile famiglia, qualcosa, qualcuno farà loro del male. Dal terreno lo attira irresistibilmente il boccaporto di un vecchio rifugio anti-uragano. Curtis, già danneggiato da un'infanzia traumatica, si sente sempre più incapace di essere un riparo per i suoi cari. I suoi comportamenti contraddittori lo fanno licenziare, perdendo così l'assicurazione sanitaria che tanto serve per la figlia. Vicini, parenti e la stessa amorevole compagna lo scrutano con sospetto. Si fa sempre più forte la tentazione di scavare un buco sottoterra e di chiudere una botola sopra se stesso e le persone amate, per proteggerle definitivamente. Ambientato nell'Ohio, quell'America rurale, sobria e asciutta, osservante e conservatrice, Take Shelter è una toccante metafora dei nostri tempi, gravidi di continue minacce, nei quali non sta arrivando un meteorite a colpire la vulnerabile intimità delle nostre famiglie, a spazzare via ogni certezza. Per annientarci molte altre soluzioni sono possibili e tutte dietro l'angolo. Schizofrenico non è il protagonista, incerto lui stesso sul proprio stato mentale, ma schizofrenica è la società che mentre ci bersaglia di stimoli per indurci all'edonismo, all'esaudimento di ogni desiderio (io valgo, io sono protagonista), invitandoci a ballare con l'orchestrina del Titanic, ci massacra quotidianamente con paure di ogni genere (terrorismo, guerre batteriologiche, inquinamento, disastri naturali, malattie, crisi economica, difficoltà finanziarie, assenza di garanzie). Merito della riuscita del film è la splendida interpretazione di uno dei migliori attori sul mercato, ancora poco conosciuto, quel Michael Shannon che ricordiamo sempre in ruoli di fragilità emotiva in Revolutionary Road, My Son My Son What Have Ye Done, Machine Gun Preacher, oltre che nella serie tv di Scorsese, Boardwalk Empire (peccato per il doppiaggio dalla tonalità totalmente diversa dall'originale). Dalla sua faccia spigolosa, quasi atona ma dagli sguardi pieni di intensità, passa il senso dell'opprimente sofferenza del suo personaggio, mentre si dibatte, protettivo e fragile, minaccioso e vulnerabile, nella sua solitaria e incompresa lotta, straziato fra il dubbio di essere in effetti vittima della follia o di avere davvero visioni da profeta biblico, dubbio che il regista riesce a trasmettere allo spettatore fino al bel finale. Lo affianca degnamente Jessica Chastain. Nella lenta e progressiva escalation da thriller/horror, Take Shelter riesce a raccontare un disagio psicologico individuale che non è che un sintomo della follia di un'intera società. Non si sa a livello di certezze se abbia fatto più danno l'11 settembre o la Lehman Brothers. Il film conferma il giustificato interesse nei confronti del giovane regista Jeff Nichols, qui al suo secondo film (il primo Shotgun Stories non è stato distribuito da noi, speriamo meglio per il terzo, Mud), riuscendo a ricordare Malik, Kubrick, Stephen King, il migliore Shyamalan, David Lynch e Paul Thomas Anderson, con un'impronta però sempre personale.
Giudizio
- Nemo propheta in patria
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