Hunger: Recensione

Di   |   26 Aprile 2012
Hunger: Recensione

Il corpo come un'arma 
L'Irlanda è stata un paese senza pace, lacerato da una feroce guerra civile che ha le sue radici negli anni '20, come conseguenza della mancata indipendenza dall'Inghilterra, guerra che è proseguita sotterranea per poi esplodere con violenza indescrivibile fra la fine degli anni '60 e il 1998, quando finalmente e in modo del tutto inaspettato ha avuto fine con l'accordo del "Venerdì Santo". Il film di Steve McQueen risale al 2008 e solo oggi viene distribuito nelle sale, sull'onda della fama nel frattempo conseguita dal protagonista, allora poco noto, Michael Fassbender, divenuto un divo mondiale dopo aver interpretato l'altro ormai famosissimo film di McQueen, Shame: due storie del tutto differenti nelle quali il corpo è il soggetto, un corpo che vince sull'uomo in Shame, con la sua spinta sessuale che ne fa un'arma contro se stesso, e che in Hunger è vinto invece dalla volontà del protagonista di farne un'arma contro il sistema.

Qui anche l'attore Fassbeder ha piegato il suo corpo all'uso voluto dal regista, riducendosi ora della fine in condizioni scheletriche. McQueen apre il film su poche righe introduttive, perché il suo intento non è di spiegare, di giustificare o di schierarsi: intende solo mostrare. Il film ci butta nel carcere di Maze, sappiamo che gli appartenenti all'IRA richiedono lo status di prigionieri politici, che Margaret Thatcher ovviamente nega. Siamo nel mezzo del cosiddetto blanked and no wash protest (per anni Sands e gli altri meno noti prigionieri sono rimasti nudi nelle celle che spalmavano con i loro escrementi, rifiutando le divise di carcerati comuni). Nel marzo del 1981 Sands comincia uno sciopero della fame che lo poterà alla morte dopo 66 giorni, mentre all'esterno veniva eletto membro del Parlamento. Altri nove detenuti sono morti come lui nello stesso periodo. McQueen come dicevamo non spiega, non racconta antefatti, non giustifica, non indaga sui personaggi, espone, mostra, offre allo sguardo e alla riflessione con apparente mancanza di emotività, la parabola finale di un uomo che per la passione delle sue idee, condivisibili o meno nella sostanza e nella forma, ha saputo morire. McQueen illustra con una secca violenza senza nessun compiacimento narrativo, con una fotografia abbagliante e gelida, un calvario totalmente realistico, raggelato, privo di qualunque enfasi. L'impressione straniante è come se un alieno (e agli occhi di molti oggi sembrerà di essere alieni che osservano cose di altri mondi) si trovasse ad assistere incredulo ad avvenimenti di tale dis-umana follia da renderli totalmente incomprensibili: prigionieri e carcerieri (chi teneva prigioniero chi, alla fine), entrambi ormai oltre ogni limite di civiltà, di umanità, preda di una follia, all'apparenza giustificata per entrambi, che li aizzava come belve insensate in un gioco al massacro che alla fine distruggeva tutti. Umanamente ci si interroga dove la coerenza sconfini nella follia. Stilisticamente, il film quasi muto gioca di contrasti: a fare da ponte fra l'introduzione e la parte finale esclusivamente dedicata alla morte di Sands (la prima urla e massacri, e la voce fuori campo della Thatcher, la seconda quasi una muta deposizione di un Cristo) mette un lungo dialogo ripreso con un piano sequenza di quasi 20 minuti fra Sands e un prete, cui illustra la propria irremovibile e motivata decisione. Anche il biancore del letto dell'infermeria è in contrasto con il marrone dei liquami della cella, l'igiene rispettosa delle cure mediche finali con la pulizia ogni tanto imposta con brutalità. Dopo tanti anni c'è da chiedersi se episodi come quello narrato siano serviti ad arrivare agli accordi del '98 o se la ragione avrebbe prima o poi prevalso. E a cosa siano serviti Maze come tutti gli attentati spaventosi, le reazioni spietate del Sistema e dei Servizi segreti, le migliaia di civili innocenti morti, le torture, le uccisioni in campo opposto, le esecuzioni fra commilitoni, i tradimenti, i ricatti, i traffici. La guerra civile irlandese è stata ottimamente narrata dal cinema, chi volesse recuperare un veloce ma appassionante Bignami, può ricorrere a titoli come Michael Collins, Sunday Bloody Sunday,In nome del padre, The Boxer, Cal, Hidden Agenda, Il vento che accarezza l'erba, The Butcher Boy, indirettamente anche La moglie del soldato, mentre Scelta d'amore racconta con maggiore emotività proprio la stessa vicenda di Hunger. Chi vorrà, andrà a cercare la storia dell'Irlanda, su qualche libro, su wikipedia, chi si ricorda guarderà e si chiederà come sia potuto succedere, come possa l'odio fra due fazioni portare a situazioni simili. Può, eccome, e anche se con modalità diverse, la ferocia delle guerre civili non si è mai fermata, ha continuato, sta continuando a lacerare il mondo. L'uomo è l'animale più feroce. Hunger è un film non facile, del tutto non commerciale, dall'impatto visivo fortissimo, che nella sua apparente mancanza di emotività lascia invece nell'animo più tracce del previsto, inducendo a riflettere, a interrogarsi, a ricordare. E questo come diciamo spesso, è ciò che il vero cinema dovrebbe fare.

Giudizio

  • Glaciale, tragico
  • 8/10

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