Devo dirti la verità, e non è perché me la voglio tirare, ma con la stampa italiana io sono un po' offeso. Tralasciando il fatto che per molti anni, tempo fa, ho lavorato nel nostro paese, ma da quando sono qui ho fatto moltissime cose e in Italia nessuno ne ha mai parlato. Quando poi ci sono alcune attrici - non facciamo i nomi- che quando vengono negli Stati Uniti a fare due stupidaggini sono sempre in televisione a parlarne come se facessero tutto loro. Io sono metà italiano di nascita e trovo vergognoso che mi chiamino dal Giappone, dalla Francia e dalla Germania per parlare del mio lavoro mentre l'Italia non mi consideri per nulla.
Parlami innanzitutto del tuo lavoro nel cinema di genere italiano degli anni Ottanta.
Intanto possiamo dire che si trattava praticamente di un altro mondo e che io ero ancora molto giovane. A Roma si vivevano ancora gli strascichi della Dolce Vita e c'era ancora il piacere di uscire la sera, stare insieme e conoscere le persone. Mi ricordo che uscivo spesso con Enrico Lucherini, caro amico e famosissimo press agent che, tra le altre cose, mi ha aiutato a trovare il mio "nome d'arte", nel senso che, avendo tre cognomi, dovevo "tagliare" qualcosa per ragioni di marketing. Comunque, per tornare sull'argomento, la differenza sostanziale è che allora il cinema italiano era ancora un'industria: alcuni dei grandi registi storici erano ancora attivi, parlo degli autori come Fellini, e poi avevamo tutta una serie di registi di genere che venivano considerati come dei meri mestieranti ma che, oggi, visto anche quello che è diventato il cinema italiano, dovrebbere essere considerati dei geni a loro volta. Parlo di persone come Valerio Zurlini, Mauro Bolognini, Pietro Germi o Mario Monicelli, registi considerati commerciali che hanno fatto dei fim straordinari. Il cinema italiano di genere era un'industria fortissima che vendeva in tutto il mondo, ancor più che gli americani i quali, negli anni Settanta, grazie agli autori della New Hollywood come Warren Beatty, Robert Altman ecc., facevano film più intellettuali. In Italia, invece, c'era il vero cinema commerciale di Fulci, di Lenzi e compagni che vendeva in tutto il mondo a suon di quattrini.
Tu con chi hai lavorato all'epoca?
Ma un po' con tutti, con parti più o meno importanti. Parlando di Lucio Fulci, mi ricordo di aver perso l'occasione di lavorare con lui in Zombi 3, poi però ho fatto una piccola parte in un film minore come I fantasmi di Sodoma. Poi ho lavorato con Lenzi in Demoni 3 e ho fatto diverse cose con un grandissimo del cinema d'azione come Stelvio Massi. Poi ho recitato in Black Friday di Aldo Lado, un grande professionista. Con Sergio Martino ho fatto due o tre commedie come Provare per credere con Patrizia Pellegrino e Tinì Cansino che all'epoca si spacciava per essere la nipote di Rita Hayworth...
Straordinario! Questa non la sapevo...
(ride)...sì poi c'era un'altra attrice con cui lavoravo, Lara Nazinski, che diceva di essere la cugina di Nastassja Kinski...non ho mai saputo se fosse vero...secondo me no comunque.
Poi, con la fine degli anni Ottanta, l'industria del cinema di genere muore e tu cosa fai?
Ho deciso di trasferirmi negli Stati Uniti. In Italia era diventavo difficilissimo lavorare; una delle ultime cose che ho fatto è stato Le ragazze di Piazza di Spagna e, visto che non ero uno di quelli raccomandati, mi hanno pure maltrattato parecchio su quel set.
E arrivando in America hai ritrovato quell'industria alla quale eri abituato?
Direi di sì. E la cosa curiosa è che ho cominciato a lavorare qui in America proprio grazie al mio background italiano. Infatti i registi americani nutrivano (come oggi) una grande ammirazione per i nostri registi di genere, li stessi che in Italia non venivano minimamente considerati. Anzi, mi ricordo che l'elite dei registi intellettuali italiani non ti volevano come attore se avevi lavorato nei film di genere perché dicevano che avevi "il nome sputtanato". Cosa che io reputo una stupidaggine incredibile. All'epoca avevo fatto anche dei filmacci erotici tipo La bambola di carne di Andrea Bianchi o Thrilling Love di Maurizio Pradeaux ma comunque i casting director mi avevano messo sulla lista nera. C'era questa tendenza a disprezzare il professionismo e a prendere, invece, "volti nuovi dalla strada"...si tratta di una mancanza di professionalità tipicamente italiana data dal fatto che il cinema era passato dall'essere un industria ad essere un fatto episodico. Negli Stati Uniti, invece, il lavoro è rispettato: se tu sei uno bravo ti prendono a prescindere da chi sei e dal tuo passato. Io qui non ho mai dovuto leccare il culo a nessuno per produrre un film o per prendere una parte. Certo, anche qui le persone che hanno delle conoscenze sono più agevolate ma la differenza è che se non hai le qualità, potrai essere pure raccomandato, ma non fai strada. Negli Stati Uniti l'amante del produttore non fa l'attrice, fa solo la bella donna con le pellicce.
Quali sono i tuoi progetti ora?
Ultimamente, a dispetto della crisi, mi sono proprio buttato e ho deciso di investire del denaro che avevo nella produzione di film. Fino ad ora ho prodotto quattro film, tra i quali House of Flesh Mannequins che ha raccolto diversi consensi, e sto lavorando sul quinto che cominceremo a breve. Secondo me bisogna avere un po' di coraggio in questo mondo, bisogna rischiare come facevano i grandi produttori italiani del dopoguerra che si mettevano in mutande pur di finire un film se ci credevano. Gente come Franco Cristaldi o la famiglia Infascelli: non facevano politica, si occupavano solo di fare dei buoni film e che fossero dei prodotti vendibili anche all'estero.
Hai qualche speranza nella rinascita del cinema italiano?
Oddio sì! Io penso sempre positivo. Se mi chiedi se ho voglia di lavorare in Italia ti dico di no, ma comunque auguro al nostro cinema il migliore dei destini...