Contemporaneamente, l’inatteso successo di 1408 ha dimostrato come il pubblico sia attirato, ormai, dall’horror psicologico – altrimenti detto “d’atmosfera” – piuttosto che dai bagni si sangue ai quali il cosiddetto “porn horror” ci aveva abituato negli ultimi anni. E crediamo, quindi, non sia un caso vedere che proprio James Wan e il fido co-sceneggiatore Leigh Whannell, responsabili del primo Saw, hanno realizzato il loro secondo lungometraggio in modo completamente diverso rispetto al film che li ha lanciati: Dead Silence è una piacevolissima ghost story old style, in cui dècor, atmosfera ed effetti sonori prendono il posto di torture e mutilazioni senza, per questo, rendere l’esperienza dello spettatore meno traumatica.
Infatti, tanto vale dirlo subito: Dead Silence è un film che – per citare la famosa tag-line di Chi sei? – “fa paura”.
Realizzato con un budget di poco inferiore ai 10 milioni di dollari, Dead Silence è stato prodotto dalla Universal consentendo a Wan di utilizzare l’adorato Scope, un formato che, per ragioni di budget, non ha potuto utilizzare in Saw. In questo modo il regista ha potuto concentrarsi di più sull’aspetto propriamente visivo dell’opera, un misto di colori freddi (utilizzati per la rappresentazione della realtà) e caldi (soprattutto nei flashback) che, unitamente alla costruzione dell’inquadratura, rimanda direttamente alla magia gotica di Mario Bava e dei vecchi film della Hammer, quest’ultima una delle principali fonti di ispirazione indicate dallo stesso Wan: “Ho utilizzato anche qualche effetto speciale, ma Dead Silence è, soprattutto, un film di atmosfera. Non è che ho paura del gore, ma volevo concentrarmi sulla forza della suggestione. Il mio film, quindi, è molto vicino a quelli della Hammer ma, però, con una costruzione più contemporanea”.
Una contemporaneità data in prevalenza dall’ambientazione storica, dato che, per quanto riguarda il resto, la ghost story raccontata nel film ha il “sapore” delle vecchie fiabe nere, quelle che si raccontavano in campagna, davanti al fuco, per spaventare i bambini. E il Babau, in questo caso, è donna e si chiama Mary Shaw. La leggenda narra di una vecchia ventriloqua che, dopo essere stata uccisa ingiustamente, è stata seppellita con un processo di imbalsamazione tale da trasformarla, anch’essa, in un pupazzo, esattamente uguale al centinaio di inquietanti vaudeville dummies che la donna si era costruita nel corso della carriera. Se per caso la si dovesse incontrare, la leggenda avvisa che non bisogna urlare, pena: lo strappamento della lingua. Purtroppo per Lisa Ashen non tutti conoscono la leggenda e così, dopo aver ricevuto un pacco anonimo contenente un’antica bambola da ventriloqui di nome Billy, la ragazza viene trovata morta dal marito Jamie (Ryan Kwanten). Deciso a scoprire l’assassino della moglie, Jamie segue gli indizi che lo portano a Ravens Fair, sua città natale, dove tutti gli abitanti sembrano essere soggiogati dalla leggenda di Mary Shaw, l’innominabile. Il ragazzo dovrà scavare nel suo passato ed affrontare le sue paure più nascoste per arrivare alla resa dei conti.
La storia del cinema horror, si sa, è costellata di bambole e pupazzi; ingenui giochi da bambini che, osservati da un diverso punto di vista, nascondono un lato inquietante, misterioso e, nella maggior parte di casi, anche malvagio. Wan e Whannel, da veri conoscitori del genere, lo sanno e, attingendo dalle loro paure più interiori (Wan ha confidato che uno dei più grandi shock cinematografici della sua vita è stata la sequenza del pupazzo clown – citato direttamente in Dead Silence – in Poltergeist), fondono l’”evil doll movie” tipo La bambola assassina con la ghost story, il tutto immerso in atmosfere alla Ai confini della realtà. Il risultato ottenuto è molto interessante. Nonostante la plausibilità non faccia parte del progetto, il coinvolgimento in questo affascinante microuniverso stregato è tale che, dopo i primi minuti, anche lo spettatore più “razionale” si sente in diritto di lasciarsi andare per godersi, appieno, il giro su questo raro e prezioso “trenino fantasma”. Memore di classici quali Magic di Richard Attenbourough e soprattutto Dead of Night (mitico horror inglese ad episodi realizzato nel 1945), Wan tratta una premessa fondamentalmente “cheese” (bambole viventi, burattini umani…) con grande serietà evitando, in questo modo, pericolosi scivoloni nel territorio della parodia. Tutt’altro che comico (solo qualche battuta del Detective Lipton strappa qualche cinico sorriso) Dead Silence dispensa invece una buona dose di sequenze inquietanti, di cui almeno tre da antologia. Onestamente, era da molto tempo che non vedevamo al cinema una storia di fantasmi così affascinante, ben confezionata e scevra, finalmente, da capelli lunghi e rumori gutturali.
(da "Horrormania")