Il permesso – 48 ore fuori: Recensione

Di   |   02 Aprile 2017
Il permesso – 48 ore fuori: Recensione

 Meglio stare dentro

Quattro personaggi vengono rilasciati dal carcere per un permesso premio di due giorni. Tutti devono scontare ancora altri anni di pena, ma per quei due giorni potranno tornare alle loro vecchie vite, alla normalità, forse. Forse perché per personaggi così la normalità non esiste.

Sono due adulti e due ragazzi: Donato (Luca Argentero), uomo forgiata dalla violenza, si avventa alla ricerca della sua donna, inghiottita dal marciume del suo ambiente; Luigi (Claudio Amendola), detenuto di lungo corso, ex rapinatore rispettato, vorrebbe rientrare in una normalità famigliare che non ha certo contribuito a creare; il ragazzo Angelo (Giacomo Ferrara), dentro per aver fatto il palo ad amici più sgamati, se li ritrova intorno ad affossargli ogni idea di cambiamento; la bella Rossana (Valentina Bellè), rampolla di troppo algida “buona” famiglia, si agita nel suo rifiuto del mondo, da cui specularmente cerca di farsi respingere con ogni mezzo. Il passato è lì, pronto a risucchiarli senza fatica, il futuro potrebbe esistere, ma a prezzo di sacrifici che non tutti sono disposti ad affrontare. Si possono, si devono fare scelte, anche se niente è scritto. Gonfio di melodrammaticità, volutamente sopra le righe nella costruzione di alcuni personaggi, Il permesso è diretto, oltre che interpretato in un segmento, da Claudio Amendola, su sceneggiatura di Giancarlo De Cataldo e Roberto Jannone, oltre che dello stesso regista, gente che già si è intrattenuta su quel sottobosco malavitoso che ormai tanti romanzi e film ci hanno insegnato a conoscere, un mondo nerissimo che scorre parallelo alla cosiddetta “società civile”. C’è un particolare compiacimento nel dipingere un affresco a forti colori, sottolineati anche dalle scelte della fotografia, che è di Maurizio Calvesi, il tutto enfatizzato da una colonna sonora incombente (di Paolo Vivaldi) e a tratti troppo invadente, pur nella scelta di brani di accompagnamento pregevoli, come Good Man di Raphael Saadiq o Iron di Woodkid (discutibile ma chiaramente voluto l’uso di una componente “western”, nel regolamento di conti finale del personaggio Luigi, tipologia in cui Amendola mostra di trovarsi sempre a suo agio). Argentero la butta sul fisico, perché mette al servizio del suo personaggio dalle poche battute, pietrificato dalla sofferenza, un corpo modificato a suggerire un animo ugualmente abbrutito. I due giovani si trovano fra le mani due personaggi anche loro di maniera, ma che si impegnano (specie Ferrara) a rendere credibili. Nei suoi limiti di onesto genere, Il permesso permette perlomeno di evadere dai confini della solita commedia italiana, dai soliti giovani carini e disoccupati, dalle pene d’amor perdute, dalle crisi generazionali perenni, dalle gag affidate a coppie di noti comici. Meglio la sanguinosa storiaccia qui messa in scena, con teatrale brutalità.

 

Giudizio

  • noir
  • 6/10