Sono due adulti e due ragazzi: Donato (Luca Argentero), uomo forgiata dalla violenza, si avventa alla ricerca della sua donna, inghiottita dal marciume del suo ambiente; Luigi (Claudio Amendola), detenuto di lungo corso, ex rapinatore rispettato, vorrebbe rientrare in una normalità famigliare che non ha certo contribuito a creare; il ragazzo Angelo (Giacomo Ferrara), dentro per aver fatto il palo ad amici più sgamati, se li ritrova intorno ad affossargli ogni idea di cambiamento; la bella Rossana (Valentina Bellè), rampolla di troppo algida “buona” famiglia, si agita nel suo rifiuto del mondo, da cui specularmente cerca di farsi respingere con ogni mezzo. Il passato è lì, pronto a risucchiarli senza fatica, il futuro potrebbe esistere, ma a prezzo di sacrifici che non tutti sono disposti ad affrontare. Si possono, si devono fare scelte, anche se niente è scritto. Gonfio di melodrammaticità, volutamente sopra le righe nella costruzione di alcuni personaggi, Il permesso è diretto, oltre che interpretato in un segmento, da Claudio Amendola, su sceneggiatura di Giancarlo De Cataldo e Roberto Jannone, oltre che dello stesso regista, gente che già si è intrattenuta su quel sottobosco malavitoso che ormai tanti romanzi e film ci hanno insegnato a conoscere, un mondo nerissimo che scorre parallelo alla cosiddetta “società civile”. C’è un particolare compiacimento nel dipingere un affresco a forti colori, sottolineati anche dalle scelte della fotografia, che è di Maurizio Calvesi, il tutto enfatizzato da una colonna sonora incombente (di Paolo Vivaldi) e a tratti troppo invadente, pur nella scelta di brani di accompagnamento pregevoli, come Good Man di Raphael Saadiq o Iron di Woodkid (discutibile ma chiaramente voluto l’uso di una componente “western”, nel regolamento di conti finale del personaggio Luigi, tipologia in cui Amendola mostra di trovarsi sempre a suo agio). Argentero la butta sul fisico, perché mette al servizio del suo personaggio dalle poche battute, pietrificato dalla sofferenza, un corpo modificato a suggerire un animo ugualmente abbrutito. I due giovani si trovano fra le mani due personaggi anche loro di maniera, ma che si impegnano (specie Ferrara) a rendere credibili. Nei suoi limiti di onesto genere, Il permesso permette perlomeno di evadere dai confini della solita commedia italiana, dai soliti giovani carini e disoccupati, dalle pene d’amor perdute, dalle crisi generazionali perenni, dalle gag affidate a coppie di noti comici. Meglio la sanguinosa storiaccia qui messa in scena, con teatrale brutalità.