Gli altri sono più del doppio di GGG, quanto a statura e massa. Ma soprattutto sono cattivissimi e degli umani fanno spuntino, mentre lui è pure vegetariano. GGG, che parla uno strambo linguaggio (il Gobblefunk) perché a lui nessuno ha insegnato a parlare, si affeziona a Sophie e così nasce una grande amicizia. Quando è chiaro che i malvagi, giganteschi bruti vanno fermati, la vivace ragazzina decide di ricorrere alla Regina d’Inghilterra (Elisabetta, sì, sempre lei). Scelta vincente perché con impeccabile aplomb la Regina accoglierà lei e GGG, crederà alla loro storia incredibile e organizzerà una reazione adeguata, che salverà il mondo. Si fiderà di loro grazie a un sogno, perché questa è la chiave di lettura della fiaba. La storia è tratta da un romanzo scritto nel 1982 da Roald Dahl, autore altri libri già diventati film (Matilda 6 mitica, La fabbrica del cioccolato, Fantastic Mr. Fox, James e la pesca gigante, Le streghe), molto amato dal pubblico anglosassone (personalmente lo amiamo meno), che era già stato portato sullo schermo nel 1989 in una versione in animazione.
Avendo già visto quest’anno bambini (più teneri) ed enormi draghi pelosi (molto più toccanti) e orchi molto più cattivi (Il Signore degli Anelli e Warcraft) e ricordando un più divertente Ewan McGregor alla griglia ne Il cacciatore di giganti, non siamo riusciti a farci travolgere da questa nuova storia. Tutta la prima parte del film (diciamo un’ora e mezza su due totali) si trascina in mezzo alle scaramucce fra la ragazzina (poco simpatica, poco coinvolgente) e il mite GGG bullizzato dai suoi simili, la cui solitaria tenerezza è meglio descritta: un gigante piccolino, cacciatore di sogni che rinchiude dentro barattoli di vetro che poi conserva nel suo antro. Poco alla volta nasce e si sviluppa fra i due un legame affettuoso, che farà sì che la ragazzina, dopo essere stata protetta dagli attacchi degli ottusi e feroci giganti del branco, si ritrovi lei a salvare il suo GGG. Dopo questa prima parte non molto appassionante, a risollevare le sorti del film (ma appunto è mezz’ora di film su due, ribadiamo) arriva Elisabetta d’Inghilterra e tutta la sua corte, con i suoi addetti Rebecca Hall e Rafe Spall, i divertenti valletti e gli obbedienti Generali. Questo però va a comprimere lo scontro finale con i giganti che vengono liquidati sbrigativamente, sbilanciando definitivamente il film. Che è realizzato metà in live action, metà in CGI, con una motion capture che conferisce espressività umana altissima a GGG, che ha lo sguardo malinconico di un grande Mark Rylance, ottimo attore che grazie alla sua performance ne Il ponte delle spie, deve avere colpito favorevolmente Spielberg, che lo ha nuovamente voluto con lui. Tutti gli effetti speciali sono degni della “ditta”, molto poetica è la sequenza della caccia ai sogni nel mondo capovolto e sono ottimamente realizzate tutte le parti dedicata alla brutalità dei Giganti/orchi, che hanno una fisicità molto realistica grazie alla performance capture, con sequenze che colpiscono per la loro perfezione. Del resto per lavorare con Spielberg, si raduna il meglio di ogni settore. Fra i produttori/collaboratori ci sono i nomi celeberrimi di cui il regista è solito circondarsi (Kathleen Kennedy, Janusz Kaminski, Michael Kahn, compreso il caro John Williams con una colonna sonora piacevole ma leggermente invadente). Il film è dedicato “To Our Melissa”, perché la sceneggiatrice Melissa Matheson, a fianco di Spielberg dai tempi di E. T., è morta l’anno scorso. Temiamo che anche i piccini troveranno il film poco appassionante, tranne che per gli effetti derivanti da una bevanda verde di cetrioli fermentati, immaginare per prevedere. Lo spettatore più adulto troverà quel filo che lega le opere di Spielberg, quella fede che bontà e gentilezza possano, debbano trionfare sui bruti, sugli ottusi, sui feroci, sugli insensibili. Che un gigante solo insomma possa salvare l’umanità. Non sarà certo per un film per noi meno riuscito che gli vorremo meno bene.