Miss Peregrine – La casa dei ragazzi speciali: Recensione

Di   |   15 Dicembre 2016
Miss Peregrine – La casa dei ragazzi speciali: Recensione

 Speciale è bello?

Il ragazzino Jake è stato cresciuto dall’adorato nonno Abe con i racconti fantasiosi di un passato così avventuroso da sembrare partorito dalla mente di un mitomane. Il metodo educativo di Abe non ha funzionato con Franklin, il padre di Jake, che è un genitore distratto e anaffettivo e osserva con distacco lo stretto rapporto fra il figlio e il padre. Del resto Franklin è uno come tanti, non ha ereditato la “peculiarità” del padre che invece è passata a Jake.


Perché di questo si racconta nell’ultimo film di Tim Burton, di “peculiarità”, di qualità speciali, di doni che possono diventare maledizioni, di diversità che estraniano dal resto dell’umanità. Di ragazzi “diversamente dotati” ce ne sono molti, sparsi nel mondo, affidati alle cure delle Ymbryne, creature mutanti che li proteggono isolandoli in loop temporali favorevoli, situati in varie parti del mondo, dove rimangono intatti e immortali. Ma i loop che li proteggono, anche li imprigionano. In uno di questi loop finisce Jake, alla ricerca della soluzione della morte del nonno, seguendo i labili indizi che lui gli ha lasciato. Farà la conoscenza con i ragazzi, misti fra piccolini e adolescenti, dotati/afflitti da bizzarre qualità. Di una si innamorerà, più in generale li aiuterà a difendersi dai malvagi Spiriti Vacui, capitanati dal perfido Barron, che inseguono il sogno di una vita immortale ottenuta divorando gli occhi dei piccoli peculiari. Omaggio finale a Ray Harryhausen, con un combattimento fra mostri e scheletri, stile Argonauti 2. Storia molto fantasy e un po’dark, Miss Peregrine – La casa dei ragazzi speciali è tratta dal libro di Ransom Riggs, scritto nel 2011, una di quelle furbe trovate contemporanee che saccheggiano altre storie, o vecchie fiabe o leggende, oltre ad altre opere letterarie, e le assemblano per farne l’ennesimo best seller per young adult. Commercialmente funziona, quindi perché no. L’argomento e l’ambientazione devono essere sembrati perfetti per lo stile di Tim Burton, ormai lontano dai tempi dei suoi film migliori (ciascuno avrà la sua classifica). Con l’eccezione di Big Eyes (di poco successo fra l’altro), sono almeno dieci anni che Burton non genera qualche prodotto originale e degno di ricordo. Dark Shadows e i due Alice in Wonderland sono purtroppo lì a confermarlo. Qui fra l’altro Burton si limita alla regia, perché anche la sceneggiatura non è sua, è di Jane Goldman che ci è sembrata più a suo agio con storie come Kick Ass, Kingsman, X-Men – Giorni di un futuro passato, qui forse influenzata dall’ingombrante presenza del regista. La trama è a tratti fumosa (necessita di puntuali “spieghe”), poco emozionante, mentre la sceneggiatura sembra dimenticare pezzi lungo la strada. La sorte dei protagonisti non riesce mai ad appassionare, loro sempre freaks in mondi sempre fantastici, chi crede nel fantastico contrapposto a chi prosaicamente non vede, immerso nella sua misera realtà: due mondi che si fronteggiano nemici, paralleli, ignari, di cui solo pochi possono trovare la via di comunicazione. Convenzionale anche il solito look gotico, l’esaltazione della diversità che pure condanna alla solitudine, alcune scene di insistita “poeticità”. Se i personaggi sono tutti “peculiar”, lo stesso non si può dire degli opachi protagonisti. Asa Butterfield è un protagonista davvero incolore, con una deludente prova dopo Il bambino con il pigiama a righe, Hugo Cabret, Ender’s Game. Anche gli altri giovani attori non convincono. Assai più carismatica è Eva Green, Miss Peregrine, la Ymbryne loro protettrice, di sempre inquietante bellezza. Sunto e condensato di quanto è sempre stato nelle corde del regista, che però qui sembra una volta di più giocare di manierismo senza vera ispirazione, Miss Peregrine – La casa dei ragazzi speciali trascina una trama non originale per quasi un’ora e mezza, prima che si vivacizzi con un po’ di azione e qualche trovata visiva interessante, per arrivare agli eccessivi 127 minuti totali. Chissà, forse nemmeno Burton crede più che a essere tanto diversi ci si guadagni.

 

 

Giudizio

  • Poco appassionante
  • 5/10