Adaline – L'eterna giovinezza: Recensione

Di   |   24 Aprile 2015
Adaline – L'eterna giovinezza: Recensione

Un grande dono male utilizzato

Adaline Bowman (Blake Lively) nasce il primo gennaio del 1908 a San Francisco, fa una vita normale, si sposa, mette al mondo una bambina, resta precocemente vedova e, a 29 anni, muore in un incidente d'auto. Ma un curioso caso di fisica/chimica con coinvolgimenti astrali fa sì che resusciti all'istante e da quel momento non invecchi più. Quando la cosa si fa troppo evidente, Adaline cambia città e vita, timorosa di diventare un fenomeno da baraccone o di essere sottoposta a chissà quali esperimenti.


Attira anche l'attenzione dell'FBI, cosa che la induce a continuare la sua fuga. Periodicamente incontra la figlia, che intanto invecchia normalmente (e assume le fattezze di Ellen Burstyn). Nel corso della sua lunga vita, per brevi segmenti ha qualche incontro sentimentale, che però tronca bruscamente per evitare futuri, inevitabili problemi. Così facendo spezza il cuore ai suoi amanti e allora, stanca di tante sofferenze, decide di restare per sempre in solitudine. Ma dato che è bellissima, la cosa le riesce difficile. Un bel giorno (siamo ai nostri tempi) incontra Ellis (Michiel Huisman), che è il Principe perfetto: è bello, giovane, ricco, intelligente, colto, sensibile, spiritoso. E innamoratissimo (riesce quasi più difficile credere alla sua esistenza che all'immortalità di Adaline), così da vincere le resistenze della donna. Le cose però non possono andar lisce e infatti a tre quarti del film esplode un colpaccio di scena che getta Adaline nel caos emotivo e sembra che tutto volga al peggio. Vampiri e Highlanders ci hanno insegnato che vivere per sempre non è poi quel grande affare, ci si stanca a ripetere sempre le stesse azioni, si perdono le persone amate (Who Want's to Live Forever When Love Must Die...). Ci siamo dunque posti nei confronti della visione di Adaline come avremmo fatto nei confronti di qualche film di vampiri o immortali o sui viaggi nel tempo, o di qualunque romantica favola favolosa, scritta apposta per far inumidire il ciglio. Come cioè una bella fiaba in cui dopo tante difficoltà, il Principe e la Principessa finalmente sono liberi di stare insieme e vivranno felici e contenti. O al contrario, con coraggiosissima scelta della produzione, si poteva decidere di mandare a casa lo spettatore intristito, perché le cose vanno storte, i due destini non si incrociano e tutti finiscono infelici e scontenti. Ma nulla di tutto questo è successo, vuoi per carenze nella scrittura (storia e sceneggiatura sono di J. Mills Goodloe e Salvador Paskowitz), vuoi per incapacità recitativa di Blake Lively, che attraversa tutto il film come uno spot di Gucci, bellissima, magrissima, elegantissima, algidissima, come se la sua rigidità interiore dovesse coincidere con l'inespressività. Meglio di lei fa Michiel Huisman, attore che sta diventando famoso grazie alla partecipazione a Game of Thrones (ma lo ricordiamo anche in Treme, Nashville, Orphan Black e qualche film non da protagonista). Ma meglio di tutti fa Harrison Ford, nella sua comparsata di lusso, intenso e credibile. Oltre tutto il tono romantico della storia sembrerebbe contraddetto dalla voce narrante, che con tono fintamente solenne sciorina assurde spiegazioni pseudo scientifiche. Bellissima confezione quanto a scenografia e abiti, mentre si viaggia nel tempo e nei ricordi della protagonista, musiche di Rob Simonsen, prolungati accordi di archi per creare la giusta atmosfera malinconico-glamour, e belle canzoni d'epoca. Spremendoci le meningi, pensiamo che la storia potrebbe essere letta come metafora del concetto che, per durare, una coppia non deve rimanere sempre la stessa, ma i due amanti devono cambiare insieme. Nessun paragone con film come Benjamin Button o Un'altra giovinezza di Coppola (il cui palazzo a San Francisco viene inquadrato forse non a caso) è fattibile (siamo più dalle parti di The Time Traveler's Wife). Dirige Lee Toland Krieger, dopo l'interessante The Vicious Kind e Separati innamorati. Sembra che il progetto del film sia passato per le mani anche di Gabriele Muccino. Meno male che ha rinunciato, non osiamo pensare a quanto feroce sarcasmo si sarebbe attirato.

 

Giudizio

  • deludente
  • 5/10