L’avevano anticipato sin dalla conferenza di presentazione: Brotherhood sarebbe stato il film-choc della quarta edizione del Festival Internazionale del Film di Roma. E in parte la visione non ha tradito le aspettative: se da Brokeback Mountain in poi un film sull’omosessualità maschile non è più tabù, indirizzare questa tematica (una costante in questo festival, da Viola di mare a Plan B) indagando cosa succeda a un gruppo di giovani aspiranti nazisti, è senz’altro uno spunto interessante.
Soprattutto se il protagonista, Lars, è un ex sergente annoiato, che entra a far parte di una gang di neo-nazionalsocialisti quasi per caso. E altrettanto per caso picchia tutti i “diversi” di turno: musulmani, omosessuali e chi più ne ha più ne metta. Non c’è clemenza né distinzione possibile, quando l’unica regola a cui obbedire è la logica della spranga e il delirio feroce di chi crede nella superiorità di una razza (quella bianca, per cui bisogna promettere di “lottare sempre”) sulle altre.
Tutto sembra filare liscio, il gruppo nazista sembra ben accogliere Lars e volerlo come membro attivo, almeno fin quando quest’ultimo non s’imbatte in Jimmy, che da suo mentore diventerà in breve, e con grande stupore di entrambi, suo amante.
Nicolo Donato firma un film secco e senza fronzoli, capace però di indagare e denunciare i paradossi di tutte quelle fratellanze (brotherhood, appunto) basate su ciechi fanatismi e spregio di diritti e dignità dell’essere umano. Uno spaccato dell’assoluta fragilità di chi spegne il cervello per obbedire al branco, al gruppo di violenti che punisce i più deboli di turno. Senza pensare che dalla parte di questi ultimi ci si potrebbe ritrovare molto, ma molto presto.
E' solo l’ennesima conferma che il cinema danese è vivo e vegeto: non solo grazie agli intensi e raffinati drammi di Susanne Bier, o con il cinema sociale e di denuncia di Per Fly (recuperatevi Gli innocenti, piccolo grande capolavoro), ma anche con un film come questo, in grado di scrutare l’animo umano per metterne in luce aberrazioni e ambiguità, tentando di far passare il messaggio che ogni presunta “diversità” è, invece, preziosa. E vale la pena lasciarsi andare e perdere tutto, pur di viverla fino in fondo.
Non un capolavoro, ma un film capace di colpire e far riflettere. Ma prima, accendere i cervelli e spegnere l’interruttore della logica del branco, prego.
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