To the Wonder: Recensione

Di   |   04 Luglio 2013
To the Wonder: Recensione

Amore che vieni, amore che vai...

 

Chissà quale urgenza ha spinto Terrence Malick, uomo da sei film in quarant'anni a realizzare a poco più di un anno di distanza da The Tree of Life un altro film per confermarci l'incapacità dell'essere umano di trovare pace, soddisfazione, una qualche forma di felicità. Pur immerso in un mondo che potrebbe essere bellissimo e a tanto bastare, si accanisce invece a distruggere tutto, fuori e dentro di se stesso. Da cosa ha origine questa insoddisfazione perenne? Se questi interrogativi in The Tree of Life si basavano su personaggi delineati in modo approfondito e appassionante, lo stesso non si può dire per i protagonisti di To the Wonder, figurine stilizzate, su cui come abiti sono appesi significati di maniera.

Lui (Ben Affleck), bell'uomo di poche parole e parco di gesti, ama follemente Lei (Olga Kurylenko). L'inizio della love story scorre in un tripudio sensoriale, tattile, visivo, gustativo, olfattivo, nel godimento del posto e della situazione, delle persone e del reciproco amore, immerso nella bellezza del luogo (Parigi e altre zone della Francia, Mont Saint-Michel con la sua battigia ritmicamente cancellata da simboliche maree). La solita "grande bellezza" di Malick (sempre stupendamente fotografata da Emmanuel Lubezki). Lui se la porta dall'Europa negli States, insieme alla di lei figlioletta, andando ad abitare in una schiera di casette in mezzo al nulla della piatta pianura dell'Oklahoma. Di mestiere Lui fa l'Ispettore ambientale e scopre (ma è marginale rispetto alla narrazione e puramente metaforico) che il terreno nasconde sostanze tossiche, che nelle limpide acque scorrono veleni. Qualcosa intanto si incrina nel rapporto, teatralmente i due iniziano a litigare, il visto di lei scade e Lui non fa nulla per trattenerla. Lei, devastata, torna in Europa. Lui allora incontra l'Altra (Rachel McAdams), un'ex compagna di scuola con ranch, cavalli e bisonti. Ma non funziona neanche questa volta. Intanto a Parigi Lei si trascina nella depressione. Roso dai rimorsi, Lui la fa tornare e la sposa con una fredda cerimonia burocratica per procurarle la green card. Difficile un rapporto fra due che sembra non abbiano nulla fare tutto il giorno se non andare avanti e indietro stagliandosi contro panorami desolati, guardando fuori dalle finestre o girovagando per i campi. Si sa che si finisce per litigare con inevitabile distruzione di suppellettili. Lei lo tradisce, ha un bambino che forse non è del marito. L'incapacità di comunicare deteriora i sentimenti, i cambiamenti dividono irreparabilmente. Alla loro vicenda si intreccia quella, ancora meno plausibile, di Javier Bardem, un prete in crisi di fede che non ce la fa più a predicare di cose in cui non crede. La vita potrebbe essere uno squisito frutto maturo nel quale affondare labbra, denti, con un piacere sensoriale, mentre l'amore che fa sì che due diventi uno. Peccato che Malick abbia un'idea del rapporto di coppia del tutto irreale e a lungo andare ridicola ("l'amore che ci ama"), troppi giochi, balletti, tenerezze, infantili effusioni. Ancora una volta le sue protagoniste corrono con i capelli mossi dal vento su sterminate distese, in un tripudio di immagini estetizzanti. Alla decima o più volta in cui due personaggi passeggiano svagati in mezzo alle stoppie accarezzando gli steli come nel Gladiatore, mentre da fuori campo fioccano rade parole "dense di significato", all'ennesimo aggirarsi a vuoto con sottofondo di archi stagliandosi contro cieli nuvolosi (ripresi dal basso) si avverte un momento di stanchezza e si comincia a rimuginare una specie di decalogo del tipo "Cose da fare in un film se sei Malick": abbracciare l'amata da dietro; accarezzare lungamente i capelli con lo sguardo perso nel vuoto; passeggiare lungamente per prati/campi/ praterie; correre e danzare da soli con fanciullesco abbandono o farsi rincorrere giocosamente; giocare ad acchiapparello (sempre fanciullescamente e giocosamente); accarezzare grandi animali con lo sguardo perso nel vuoto; accarezzare anche steli d'erba (piacciono molto pure i letti di foglie secche, le trasparenze di acque o vetrate, saltare sui letti o fare capriole).

L'incompletezza della comunicazione fra i personaggi è aggravata dai differenti linguaggi con cui parlano e pensano (il film è recitato in inglese, francese, italiano e spagnolo), mentre ondeggiano sulle musiche sinfonicheggianti e sospese di Hanan Townshend, con "sonics and variations" di Daniel Lanois e con brani presi da Wagner, Bach, Berlioz, Respighi, Tchaikowsky e Haydin. Alle prese con un personaggio così, Affleck non può che assumere la sua nota espressione con la bocca socchiusa che tanti strali sarcastici gli ha attirato dalla critica; Olga Kurylenko vaga con la flessuosa eleganza della modella; Rachel McAdams è molto bella e dolce in versione blonde. Bardem è catatonico. Sulla comparsata di Romina Mondello (misteri dei casting internazionali) sopravvoliamo. Si dice che Malick, nella sua rispettabile ricerca del trascendente per giustificare l'immanente, si rivolga solo a chi è disposto ad ascoltarlo. Bene. Se già molte perplessità in molti spettatori aveva sollevato The Tree of Life, film sul quale ci sentivamo però di accettare una discussione, anche per il diverso spessore dei personaggi, temiamo che To the Wonder potrebbe lasciare perplessi anche alcuni fra gli estimatori ad oltranza, risollevando le stesse obiezioni mosse nei confronti del precedente film dai suoi detrattori. Fra i quali, a questo punto, senza eccessiva ostilità, questa volta ci iscriviamo. Pur riconoscendo la buona fede della ricerca sofferta (da parte del regista) di Dio, della Natura, dell'Amore (di quale "meraviglia" parliamo?), quello che c'era da dire è già stato detto e meglio, questo secondo film per la nostra sensibilità è del tutto superfluo e ripetitivo e annoiante.

Giudizio

  • Abbiamo capito
  • 5/10