The Lone Ranger: Recensione

Di   |   02 Luglio 2013
The Lone Ranger: Recensione

Un avvocato e un indiano pazzo

 

Così viene definita la strana coppia protagonista di The Lone Ranger, un avvocato e un indiano pazzo, nella nuova trasposizione cinematografica del celebre personaggio creato da George W. Trendle e Francis H. Striker, protagonista di ben 2956 trasmissioni radiofoniche andate in onda dal 1933 al 1954, citato perfino da Woody Allen in Radio Days. Lone Ranger ottiene la sua consacrazione diventando anche un fumetto pubblicato fino al 1971 e poi eroe di serie tv in animazione e in live action e soggetto di alcuni film di cui il più noto è La leggenda del Ranger solitario del 1981. Oggi erompe dai grandi schermi, arricchito da spettacolari effetti speciali e da un cast di tutto rispetto, grazie alla produzione Disney e al team deiPirati dei Caraibi.

Dietro la macchina da oltre 250 milioni di dollari ci sono infatti di nuovo Gore Verbinski e Jerry Bruckheimer e anche gli sceneggiatori Justin Haythe, Ted Elliott e Terry Rossio sono gli stessi. Nel 1869 la ferrovia mancina chilometri traversina dopo traversina, tracciando la strada che faciliterà i grandi traffici fra Est e Ovest. Lungo i binari che tagliano il territorio indiano si muovono enormi interessi finanziari. Come la storia (e tanti film) insegnano, meglio non fidarsi del nobile animo esibito da Latham Cole (Tom Wilkinson), imprenditore che nasconde le sue ambizioni sotto un volto umano, mentre, oltre che al successo, mira anche a Rebecca (Ruth Wilson), la bella moglie dell'integerrimo Dan Reid (James Badge Dale), suo Ranger di fiducia. Sul posto arriva John Reid (Armie Hammer), il fratello minore che ha sempre segretamente amato Ruth, per assicurare il giusto processo al bieco Butch (William Fichtner), un crudelissimo bandito. John è un giovane, legalitario procuratore, un idealista che si scontra immediatamente con le pragmatiche regole di sopravvivenza del selvaggio West. Frullato subito nell'avventura, incrocia il destino di Tonto, indiano disturbato da un misterioso passato, e da lì in poi sarà un susseguirsi di colpi di scena e di avventure a rotta di collo, nello spirito del personaggio originale, munito di mascherina di pelle e cavallo magico. Peccato che il film sia sbilanciato fra la parte più leggera e surreale, quella ricca di spunti comici e situazioni spiritose, e una parte più "impegnata" in cui si approfondisce con precisione storica il tema della penetrazione della ferrovia nei territori dei nativi, denunciando tutta la nota cornice delle "attività" collaterali di questi "grandi eventi", inganni, sfruttamento, disonestà, corruzione, avidità. Dove si sono grandi affari ci sono grandi crimini, insomma, come ben esposto nella serie tv Hell on Wheels o come si narrava già in C'era una vola il West di Sergio Leone, autore che Verbinski cita in alcune inquadrature (e Zimmer in un tema musicale si rifà esplicitamente a Morricone), così come viene citato anche John Ford. Questa parte più seria appesantisce una narrazione fumettistica e giocosa che nella prima parte lasciava ben sperare, già sull'onda di travolgenti effetti speciali. In questo modo si dilata anche la durata del film che arriva a 135 minuti, che si avvertono tutti nella parte centrale, mentre il finale galoppa a gran velocità nell'iperbolico inseguimento fra treni, per la sacrosanta resa dei conti, sulle note allegramente militaresche del Guglielmo Tell di Rossini, come da tradizione. Ma nel complesso The Lone Ranger si può ben considerare una divertita rivisitazione del western, genere che evidentemente piace più ai registi che al pubblico, perché viene ciclicamente riproposto, con ciclico insuccesso (Verbinksi ci aveva già provato con l'anomalo esperimento di Rango). Johnny Depp con il volto sempre coperto dalla biacca delle sue pitture tribali o dal lattice della vecchiezza, si diverte a fare le solite facce da cartone animato che hanno determinato il suo rilancio come Jack Sparrow. Ottima scelta il bell'Armie Hammer, l'illuso procuratore appassionato del filosofo John Locke, convinto che la legge sia la risposta a ogni male, rigido e intransigente, tanto da meritarsi piuttosto lui il nome di Tonto, invece che l'indiano. Dovrà ricredersi dopo una serie di disavventure che lo convinceranno della saggezza del pur bizzarro amico pellerossa, portandoli entrambi a un rapporto di profonda amicizia. La storia viene narrata da un vecchissimo Tonto, che si anima nel diorama di un malinconico circo di provincia degli anni '30, a un ragazzino estasiato e già nostalgico. Del resto se un tempo il gioco preferito per i bambini era cowboy e indiani, un motivo ci sarà.

Giudizio

  • Niente eroi tormentati (finalmente)
  • 6/10