The Womb: Recensione
Di Giuliana Molteni | 06 Luglio 2012Un impossibile risarcimento
In un imprecisato futuro, del tutto simile al nostro oggi, le clonazioni umane sono ormai pratica abituale. Rebecca ama fin da piccola Tommy, compagno di giochi sulle coste deserte ma fascinose del paesino in cui vivono, nel Nord Europa. La vita li divide ma Rebecca torna, ormai diventata una giovane donna, per riprendersi il suo amore. Che però muore poco dopo, quasi per sua responsabilità. Sconvolta e decisa a non subire nuovamente la perdita, si rivolge al Dipartimento di replicazione genetica, per poter generare un clone di Tommy. Dato che la società nutre pregiudizi nei confronti dei piccoli clonati e li discrimina, si trasferisce in un luogo ancora più isolato, una casa in riva all'oceano, e lì cresce in solitaria simbiosi col ragazzino. Passano gli anni e quando il piccolo assume le sembianze dell'amato, nel sopravvento della sessualità iniziano altri seri problemi.
Womb (grembo) è un film che vorrebbe essere toccante e fa di tutto per riuscirci, con i personaggi costruiti per far scaturire un'empatia che invece manca del tutto. Pur nell'accettazione dell'irrealtà della vicenda, che conteneva spunti molto interessanti, finisce per infastidire soprattutto il personaggio femminile, con i suoi enigmatici e accorati sguardi e i suoi criptici, interminabili silenzi, facendo chiedere allo spettatore che senso abbia un "amore" di questo genere. Né un amante né un figlio possono crescere in mezzo a questa indeterminazione, nessun rapporto può evolversi senza comunicazione. L'atmosfera è anche un po' morbosa perché quando il ragazzo cresce e diventa come era Tommy al momento del decesso, scattano nella madre/innamorata sentimenti assai contrastanti. Eppure (suggerisce il film) la donna ha dato a Tommy il dono della vita, una second chance (non osiamo immaginare a prezzo di quali devastazioni psicologiche...), che è sempre migliore del nulla della morte. La perdita dell'oggetto d'amore assoluto, tema che sarebbe struggente, si perde nella costruzione irritante dei personaggi, due eccentrici fin da giovanissimi, del genere mattonchio creativo da film, per cui alternativi, fissati, tutta la comunicazione in un'occhiata (anche la metafora della lumachina nella scatoletta gronda letterarietà). Fanno da cornice vuoti e desolati paesaggi di grande suggestione, immersi nella luce azzurrina della fotografia di Péter Szatmári, che permeano la vicenda, aumentando metafore e allusioni. Eva Green non invecchia di un filo nell'arco di più di vent'anni (beata lei) mentre dardeggia i suoi sguardi densi di significato. Il suo partner è Matt Smith, dai lineamenti irregolari ma non molto espressivi, il più recente Dottor Who su piccolo schermo, mentre più carini sono Jesse Hoffmann e Tristan Christopher, nelle due versioni di Tommy da piccolo. Quanto al genere, il film si può definire un fanta-melò contaminato con Bertolucci (quello di La luna), che ricorda anche Non lasciarmi, per essere ambientato in un futuro del tutto simile al nostro presente, solo con competenze scientifiche superiori, che non hanno automaticamente reso l'umanità più buona o felice. Come già suggeriva il buon Stephen King in Pet Sematary, i morti sono morti e tali devono restare.
Giudizio
- Sterile
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