Il Dittatore: Recensione
Di Giuliana Molteni | 13 Giugno 2012I satrapi, ma chi li ammazza
Sacha Baron Cohen ai tempi di Ali G era un simpatico personaggio di provenienza televisiva, su cui nessuno avrebbe scommesso un centesimo come "attore" cinematografico. Previsione parzialmente confermata in quanto, come "attore", non ha fatto cose memorabili, ma come inventore di folli personaggi nei quali sfogare tutti il suo istrionismo ha trovato il successo, divertendosi anche di più, o almeno così sembra. Con Il Dittatore Cohen continua dunque nella sua formula preferita, che qui produce anche risultati migliori delle altre volte perché c'è una sceneggiatura vera, una storia su cui lavorare, che si dichiara "liberamente tratta dal romanzo di Saddam Hussein Zabibah and the King".
Con la sua predilezione per gli accenti arabi-medio orientali, Cohen se la spassa rappresentando Haffaz Aladeen, un dittatore di Wadya, un imprecisato stato Nord africano, di esilarante imbecillità, una via di mezzo fra Ahmadinejad e Gheddafi (ma c'è dentro di tutto, da Osama Bin Laden a Kim Jong, più un accenno ad alcuni "dittatoriali" Presidenti occidentali). Convinto che la democrazia sarebbe il peggiore dei mali per i suoi "amati" concittadini, Aladeen per il loro bene si comporta in modo totalmente spietato, così da costringere il vecchio zio Tamir (Ben Kingsley) a organizzare ripetuti anche se vani attentati, che fanno strage di disgraziati sosia. Non che lo zio sia tanto migliore, infatti alle sue spalle si agitano i tanti rappresentanti, tutti corrotti e psicopatici, delle varie nazioni interessate al petrolio del regno. Durante una visita alle Nazioni Unite, a causa di una serie di disavventure Aladeen si ritrova lost in Manhattan, irriconoscibile perché senza barba, costretto a lavorare per campare, grazie all'assistenza pietosa di un'ingenua pacifista/femminista di patetico anticonformismo (Anna Faris), che lo prende sotto la sua ala protettiva, senza immaginare che dietro quello spaesato extra comunitario si celi l'esecrata belva sanguinaria. L'umorismo è di grana grossa, è ovvio, ma questo non impedisce di ridere al fuoco di fila di battute con cui Cohen si diverte a sbeffeggiare tutti ma proprio tutti: pacifisti-ecologisti-politicamente corretti (cretini), politici (inetti o intrallazzatori), affaristi (disonesti), arabi ed ebrei (guerrafondai) e poi tutte le minoranze, donne, neri, cinesi, indiani, per farsi beffe anche di tutte le ridicole manie che affliggono ipocritamente il bon ton mediatico mondiale (più serio, anche se sempre tristemente comico, il discorso che il Dittatore rivolge agli americani sulla loro supposta democrazia). Speriamo che il doppiaggio non stravolga troppo i testi originali. Anche in questa avventura Larry Charles è il complice perfetto di Cohen, dopo Borat e Brüno, sempre con l'aria di divertirsi molto pure lui mentre lo dirige, ma questa volta si divertiranno di più anche gli spettatori.
Giudizio
- Non più solo mockumentary
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