"Che cosa significa pernicioso, papà?" chiede la piccola Rosie, viaggiando sul sedile posteriore dell'auto, accanto all'ombroso fratello adolescente. "Che causa gravi danni, o effetti nocivi... che causa problemi..." risponde Benjamin Mee, un super Matt Damon, padre di famiglia e vedovo, da appena sei mesi, della madre dei suoi figli e amore della sua vita. Non esistono confini tra l'avventura e l'evento pernicioso, sempre dietro l'angolo. E quando il guaio si fa concreto, e una giovane madre muore, allora ci si ritrova costretti, e catapultati, dentro un'immensa e purtroppo concreta avventura. Si può scegliere di collezionare valanghe di lasagne nel frigo, simbolo-prodotto della pseudo solidarietà di signore pronte a consolare il vedovo attraente. Oppure si lotta per creare qualcosa di bello dalla melma perniciosa. Il padre non potrà più scrivere di eventi straordinari, e licenziatosi dal giornale per fuggire dagli sguardi pietosi, tenterà di costruire, in prima persona, un evento straordinario. E l'occasione si presenta sotto forma di zoo in rovina, pieno di animali esotici, che tira avanti grazie ad un gruppo di speciali lavoratori, uniti dalla passione per animali e luogo. Per cercare di salvare i due figli dalla prematura consapevolezza della perdita, Benjamin Mee rischierà di perdere tutto: ogni soldo guadagnato, la casa, un lavoro, il rapporto con il figlio maschio. Tutto per riuscire a dimostrare che in fondo al dolore si nasconde la possibilità d'ispirazione e la capacità di trasformare il ricordo doloroso in visioni di gioia.
Matt Damon, in un intervista, rivela che per convincerlo ad interpretare la parte, Crowe gli ha mandato una copia del film Local Hero, e una selezione di musiche, per muoversi tra le atmosfere che il film doveva assolutamente imprimere. Quindi: comicità che farcisce tragedia, e un sound ricercato, proprio dell'esperto Crowe, che già a quindici anni scriveva recensioni musicali su Playboy e Rolling Stone, senza dimenticare la collaborazione con il musicista islandese Jónsi. E il talento di Crowe è proprio accendere la battuta comica quando non te lo aspetti. Come, in Elizabethtown, l'incontro casuale nel corridoio di un albergo, tra Orlando Bloom e il novello sposo Chuck. E per fortuna che c'è l'ironia, altrimenti La mia vita è uno zoo scorre troppo spesso tra situazioni prevedibili, in una retorica di similitudini tra la tigre malata, lo sguardo del leone, la vita in gabbia, l'uomo delle ispezioni stronzo ma in fondo leale, la moglie defunta che provvede dall'aldilà...Allora bisogna andare a ricercare le frasi non comuni, che passano leggere nel film, i dialoghi non banali. E la risposta perfetta a tutti i perché.E ringraziare Crowe di avere almeno trattenuto la love story tra Matt Damon e Scarlett Johansson, al limite da intossicazione da zuccheri. Così da ritrovare la teoria dei supplenti, vedi Kirsten Dunst, che ci ricorda come le forme d'amore siano molteplici: c'è chi sceglie di amare nel ruolo da comparsa. Perché il rapporto di coppia è una parte dell'esistenza, e non vogliamo rinunciare alle passioni, o ad un libro in solitudine. Imparando a conoscere la realtà, senza sognare fiction, aspettando l'empatia. E così la brava Scarlett Johansson dimostra versatilità anche in un ruolo povero di dettagli, mettendo da parte la carica sensuale, per un carattere deciso e mascolino. Ma non dobbiamo dimenticare che lo zoo è un luogo dove gli animali sono esibiti per scopi commerciali. Le gabbie non si vedono. Ma il fossato, che separa l'animale dal visitatore, è solo un'illusione di libertà.