Si scrive Feisbum e si legge Facebook. L’instant movie sul fenomeno di Facebook, il social network più in voga del momento, è fatto di tanti corti affidati a registi diversi che vorrebbero spiegare come cambiano le relazioni sociali nell’era dei profili e dei tag. Ma si concentra soprattutto su una cosa: sull’identità, sulla volontà di essere (o almeno apparire) come qualcun altro, nel turlupinare il prossimo mascherandosi dietro false identità. Vertono su questi aspetti, infatti, la maggior parte degli episodi: da Siempre (uno dei migliori), in cui un ragazzo crea il profilo dell’uomo perfetto per vendicarsi della sua ragazza a Manuel è a Mogadiscio (altra prova interessante) in cui un nerd si finge inviato di guerra, fino a Indian Dream, in cui un meccanico sogna di ripassare l’intero kamasutra con una ragazza indiana, dopo aver visto la sua foto su Facebook. A parte il fatto di farci rimpiangere quelli che un tempo si fingevano un altro con le proprie forze, e non con l’ausilio di un computer, Feisbum non riesce quasi mai a cogliere nel segno. La scrittura degli sketch presenta lo stesso problema che aveva quella de I mostri oggi: manca quasi sempre un’epifania, un finale che riveli, che dia un senso alla vicenda raccontata. Ma soprattutto, per parlare di Facebook si è scelto di trattare aspetti che fanno parte della comunicazione su internet in generale, come la chat erotiche, che ci sono da tempo, molto prima di Facebook. E allora l’effetto è quello del dejà-vù: guardando l’episodio Jessica e Nicola (con un sempre bravo Massimiliano Bruno), in cui due improbabili amanti chattano scambiandosi amene porcherie, viene in mente che la Stefania Rocca di Viola e Clive Owen in Closer l’avevano già fatto.
Qualcosa da salvare c’è, come Maledetto tag, in cui si va a cogliere l’altro aspetto di Facebook che pare preponderante, quello di essere taggati, cioè trovare in rete qualsiasi foto in cui si è immortalati (e che qui fa saltare un matrimonio). O come Angelo azzurro reloaded del collega Serafino Murri, in cui dalla storia tra un professore e una giovane “suicide girl”, che ammicca a quella del famoso film con la Dietrich, impariamo che le cose più belle nascono da un incontro vero e rigorosamente off line. O ancora, nell’ultima pillola che precede i titoli di coda, in cui un vecchio compagno di scuola si vendica di chi lo vessava. Ma in generale lo scarto tra le crisi di identità raccontata da Verdone più di vent’anni fa e quelle di oggi è proprio quello tra quei tempi e i nostri. E anche, inevitabilmente, tra gli Autori di ieri e quelli di oggi. Aridatece Manuel Fantoni!