Cell: recensione

Di   |   14 Luglio 2016
Cell: recensione

 

Il Wi Fi ci uccide?

Come molto artisti in vari campi, anche Stephen King ha avuto il suo momento d’oro ma da anni non raggiunge più i livelli di quei tempi felici (per lui, per noi). Arriva adesso sugli schermi l’ennesima trasposizione di un suo romanzo più recente, Cell del 2006.


 
Dai suoi libri sono stati tratti film bellissimi, film discreti e molti prodotti mediocri, e anche qualche serie tv (tutti avremo la nostra personale classifica, per noi i migliori sono Shining, La zona morta, Pet Sematary, Le ali della libertà, Carrie, Misery, Il miglio verde, The Mist, L’ultima eclissi). Nel caso di Cell purtroppo King ha contribuito alla sceneggiatura e non è che le cose siano andate meglio.  Boston, aeroporto, tutti sono al cellulare e ad un tratto, come frizzati da un misterioso segnale, si tramutano in belve inferocite assetate di sangue e si scagliano gli uni sugli altri. Macchine si schiantano, aerei precipitano, insomma il solito caos che si verificherebbe se contemporaneamente si tornasse all’età della pietra.  Clay (Cusack), un autore di profetici fumetti apocalittici, si salva (come pochi altri) perché non è al telefono e insieme a due incontrati per caso (Samuel L. Jackson e Isabelle Fuhrman), intraprende un viaggio per arrivare a un lago lontano, dove spera di trovare vivi e intatti la moglie e figlioletto.  Il lungo viaggio in mezzo alla natura rigogliosa del Maine è funestato da pericolosi incontri con gli scalmanati umani imbestialiti, così da far somigliare Cell all’ennesimo film di zombie o contagiati da virus (qui fortunatamente sono normalmente veloci negli spostamenti e anche un po’ più rimbecilliti). Anche se col passare delle ore, sembra che la congerie di bruti inizia compattarsi, a “ricaricarsi” collettivamente, a comunicare con un’entità misteriosa.  Anche se mano a mano che la narrazione procede, gli sviluppi mirano a una conclusione diversa, come conferma il finale (che non spoileriamo, per i non lettori e che lascia aperta la riflessione a matrixiane derive, mentre nel romanzo il finale era aperto alle suggestioni del lettore), la trama è troppo semplificato e il film è banale e sfilacciato tanto da non essere capace di far scordare le inevitabili infedeltà al testo originale.  Già a parlarne il film sembra meglio di quello che è, mentre è dimenticabile in un attimo, forse perché il tema della fuga, del possibile contagio, dell’assedio è sfruttatissimo (sull’eventuale polemica sui cellulari sorvoliamo, perché ormai anche più sfruttata), e quando ormai l’attenzione si è assopita ci troviamo davanti al colpo di scena finale che invece che risvegliare, lascia solo perplessi.

 

 

 

Giudizio

  • Torniamo al fisso
  • 5/10

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