Hunger Games - Il canto della rivolta: parte 1: Recensione

Di   |   20 Novembre 2014
Hunger Games - Il canto della rivolta: parte 1: Recensione

If we burn, you burn with us

"Speriamo di trovare il cielo lungo la strada, mostrami la via, Signore, perché sto per esplodere" cantavano i Coldplay sul finale del precedente episodio. E l'esplosione è arrivata. Katniss non è più nell'Arena, è fuori, nel sopravvissuto Distretto 13, a guidare la rivolta degli oppressi contro il feroce dittatore Snow. Ma Peeta, forse davvero amato, sottoposto a una specie di lavaggio del cervello è rimasto nelle mani del Governo, che lo usa come strumento di propaganda per il Sistema e di pressione sulla ragazza.


Intanto però, anche a prezzo di stragi crudeli, le masse si rivoltano conto i loro aguzzini, nel nome della loro eroina, ribattezzata Mockinjay (in italiano tradotto ghiandaia imitatrice). Basta scannarsi fra miserabili, per sollazzare i potenti e intrattenere i propri simili abbrutiti da paura e privazioni, illusi che essere spettatori li salvi dalla complicità. Chi non si ribella è sempre complice. Ma la strada sarà lunga e costellata di sofferenze. Sacrifici e privazioni non sono ancora finiti, per la Katniss e per il resto della popolazione. Anche se tutta la serie è sempre stata cupa e angosciosa, nei due precedenti film le scene di caccia, gli inseguimenti, le trappole, le tattiche di combattimento, le efferatezze e le astuzie vivacizzavano la narrazione, insieme alle sequenze ambientate a Capitol City con le fastose scenografie e gli eccentrici costumi. Nel terzo film non c'è nulla di tutto ciò, non più giochi per poche vittime predestinate ma guerra civile accuratamente fomentata a colpi di video di propaganda, perché è sulla comunicazione, sul plagio delle menti che si fondano i poteri assoluti. Katniss non vuole essere un'eroina, una conduttrice di popoli, è solo una ragazza disperata in lotta contro un mondo adulto che la vuole comunque sfruttare, a spese sue e dei suoi affetti più cari. La sfida fra Katniss e il Potere è un fatto personale, fra lei e Snow, sadica e degenere figura paterna, che gode nel "castigare" chi non si pieghi. Ma anche nel Distretto 13 con la Presidentessa Coin e con Plutarch, il rapporto però non è facile (nel momento in cui una rivoluzione diventa propaganda, è finita, dirà Haymitch). Ancora una volta il suo viso e il suo corpo sono sfruttati dal potere e la ragazza si trova sbattuta sui video che devono percorrere l'etere per incitare alla ribellione. Permane infatti, e si sviluppa, il discorso che sta a cuore dell'autrice dei libri, Suzanne Collins, sul potere della comunicazione che può essere distorta per scopi malvagi, perché anche un'idea buona deve sapersi vendere e se non si vende bene viene sconfitta. L'errore, la distorsione, sono però avvenuti a monte, quando l'opinione pubblica è stata ad arte educata alla "comunicazione spettacolo". Anche oggi, nella nostra realtà, senza arrivare ai giochi gladiatori, i risultati sono sotto gli occhi di tutti. Conta come si dice qualcosa, quanto si dice, quanto si ripete, non la sostanza. Sono passati due anni dal primo capitolo della saga Hunger Games, una delle migliori fra quelle indirizzate alla cosiddetta fascia degli young adult, già modello di riferimenti per altri prodotti successivi. Con questo riuscito terzo capitolo, molto adult e poco young, la serie si avvia verso la sua conclusione a diventare sempre più metafora in chiave di tragica fantasy della nostra situazione attuale: un mondo di oppressi ferocemente vessati da una spietata oligarchia. Avremmo tutti bisogno della nostra Katinss.

 

Giudizio

  • Cupo, interessante
  • 7/10