Hunger Games – La ragazza di fuoco: Recensione
Di Giuliana Molteni | 18 Novembre 2013L'inarrestabile maturazione della vendetta
Uno solo doveva sopravvivere, invece ne sono rimasti due. Katniss e Peeta sono i due vincitori, ma non per questo la loro vita è migliorata. Il Sistema, incarnato nel crudele Presidente Snow ha saldamente piantato i suoi artigli nei due ragazzi e li sta mandando in giro per i Distretti in nera miseria a fini propagandistici. Ma nonostante la ferocissima repressione, la rivolta serpeggia perché il comportamento di Katniss nel torneo è stato interpretato come un atto di ribellione.
Quindi per ricondurre l'indomita ragazza a miti consigli (o per liberarsi definitivamente di lei), Snow organizza un'edizione speciale dei Games nella quale gareggeranno tutti i vincitori delle passate stagioni, che si illudevano di essersi messi al riparo da altre dimostrazioni di efferatezza. Dopo la consueta preparazione, le feste e le sfilate trionfali, le trasmissioni tv con elaborati trucchi e sontuosi abiti, si torna ad ammazzarsi nella solita foresta infarcita ad arte di insidie, dove da ogni albero videocamere guardano e ascoltano, per immettere a tradimento nuove trappole crudeli per decimare i partecipanti, quando non ci riescano da soli. Fra amici e nemici e incerti alleati, con il pensiero sempre rivolto al suo lontano amore Gale e alla sua famiglia, la martoriata Katniss maturerà l'odio necessario ad affrontare l'estrema malvagità del Potere che opprime la Nazione. Finale aperto sul sequel e, a differenza che nel primo episodio, questo secondo stimola il desiderio di vedere come andrà a finire, quale sarà il destino di Katniss e Peta e di tutti gli altri, i suoi cari e i suoi nuovi complici dentro le pieghe del sistema. Il film, che dura 144 minuti che scorrono senza intoppi, riprende dove ci aveva lasciati con il primo capitolo e introduce alla nuova azione senza flashback (non è necessario aver letto i libri ma aver visto il primo film sì). Fra imponenti scenari ispirati all'antica Roma e al nazi/fascismo, fra baccanali rinascimental/barocchi, metropoli di littorio grigiore monumentale, su modello Equilibrium, e desolate lande di sfruttamento e abuso, si avverte la presenza di un budget nettamente superiore che permette trucchi di ben realizzati, come gli tsunami artificiali, la nebbia tossica, le ghiandaie impazzite e i ferocissimi babbuini assassini. Ottimo secondo capitolo della saga, Hunger Games pone l'accento sulla tragica evoluzione sociale subita dal Paese, accentuando i toni più cupi e angoscianti che nel film precedente erano smussati, forse per ampliare il suo target, facendo passare in secondo piano la trama romantica. All'interno di una lussuosa confezione, si confermano le ottime scelte degli attori. Al fianco di una splendida Jennifer Lawrence, nella quale la morbidezza ancora adolescenziale delle guance bene contrasta con la sopravvenuta, obbligatoria durezza dello sguardo, ritroviamo tutto l'ottimo cast dell'episodio precedente: l'amato ma lontanoLiam Hemsworth, Elizabeth Banks (menzione per il look), Woody Harrelson (mezione perché è lui), idem per Stanely Tucci, e poi il povero Josh Hutcherson, l'odioso Donald Sutherland e un ambiguo Philip Seymour Hoffman, new entry che nel prossimo doppio capitolo sarà affiancato da Julianne Moore. Ricco anche il cast dei nuovi personaggi di contorno. Senza arrivare all'intensità drammatica di Rollerball, storia che più di tutte ricorda la spietata selezione a fini propagandistici di Hunger Games, la saga sfrutta tutto l'appeal di un tema molto sentito dalla fantascienza e dal fantasy in genere. La storia ci insegna che dai tempi degli antichi romani, i cui usi e la cui iconografia sono citati nel film, per arrivare fino ai giorni nostri, sono le oligarchie geriatriche a dominare il mondo, a mandare i giovani a combattere le loro guerre, a sfruttarli con l'illusione del successo, della conquista del potere che intanto i vegliardi si tengono ben stretto. Sfruttandoli come carne da macello buona per tutte le occasioni, con la vaga promessa che chissà forse "un giorno tutto questo sarà tuo", li costringe intanto a piegarsi alle loro norme degeneri, sotto l'occhio di un'opinione pubblica colpevole, perché finché penseremo di essere solo spettatori saremo complici. Sui titoli di coda, la bella Atlas dei Coldplay: "Speriamo di trovare il cielo lungo la strada, mostrami la via, Signore, perché sto per esplodere".
Giudizio
- cupo, inquietante
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